Economia

L'Italia ha fatto liberalizzazioni solo a metà I costi possono scendere ancora

di Carlo LottieriQ uando ognuno di noi riceve una bolletta la sensazione è sempre un po' amara. È infatti giustificata l'impressione di non essere trattati al meglio da quanti ci vendono gas, elettricità o servizi telefonici.Eppure la situazione è molto migliorata rispetto ai tempi, per intendersi, in cui tutti eravamo (volenti o nolenti) clienti della Sip o dell'Enel. Il processo di liberalizzazione che ha avuto luogo nell'ultimo quarto di secolo ha creato spazi di concorrenza e quindi anche di innovazione: spingendo ad abbassare i prezzi e migliorare la qualità. Eppure quel disagio dinanzi ai conti da pagare è giustificato, in ragione del fatto che il nostro è un mercato non davvero libero, dato che chi compra e chi vende non può muoversi a proprio piacere e anzi sottosta a una lunga serie di norme: spesso ispirate dalla volontà di aiutare i soggetti più deboli, favorire lo sviluppo e mille altre cose.È significativo che in Europa, secondo gli studi condotti dall'Istituto Bruno Leoni (basti pensare all'Indice delle Liberalizzazioni), l'economia più liberalizzata sia stabilmente quella del Regno Unito. Com'è noto si tratta anche del Paese europeo che mostra maggiore insofferenza dinanzi alle logiche dell'Unione, al punto che presto gli elettori britannici si recheranno al voto per valutare se restare o meno nella Ue. È un caso? Non del tutto, poiché da tempo le direttive dell'Unione svolgono un ruolo piuttosto negativo nel favorire l'apertura dei mercati. La regolazione comunitaria si è sovrapposta a quella nazionale e in molti casi obbliga gli Stati membri a moltiplicare regole in ogni ambito.In tema di liberalizzazioni vi è insomma un'ambiguità dell'Europa. Da anni essa promuove effettivi processi di apertura dei mercati che i Paesi membri nei fatti non sempre assecondano, salvaguardando barriere giuridiche nazionali avverse alla competizione. Al tempo stesso, però, essa produce a getto continuo nuove direttive e, cosa non da poco, ha favorito l'affermarsi di istituzioni di controllo dei mercati e tutela dei consumatori che, nei fatti, impediscono il pieno dispiegarsi della concorrenza.Nel settore dell'elettricità, ad esempio, il problema maggiore sta nel fatto che in Italia vi è una regolamentazione assai rigida, senza alcun valido motivo, dei mercati «retail»: di quei mercati, cioè, che si rivolgono al consumatore al dettaglio. Il regime della «maggior tutela» ha come conseguenza di bloccare in larga misura la domanda, impedendo alla competizione di operare al meglio. È molto facile capire che interventi regolatori immaginati a protezione di questo o quel gruppo (famiglie, imprese, ecc.) ostacolano un pieno funzionamento del mercato e, per giunta, creano anche ghiotte opportunità di «cattura» del regolatore.Tutto nasce (...)(...) dalla direttiva 96/92/EC che diede il via al processo di creazione delle autorità nazionali di controllo, ma in seguito l'Unione ha pensato di promuove lo sviluppo di un mercato elettrico continentale attraverso l'armonizzazione delle regole dei diversi Paesi. Il risultato di tale procedere a zig-zag è una liberalizzazione a metà: in altre parole, un mercato non davvero libero. Sui nostri conti finali, per giunta, pesa una tassazione crescente e ingiustificata, specie se si considera che con i nostri soldi siamo costretti a finanziare ad esempio i proprietari di centrali energetiche più o meno «verdi» o «alternative». E ora, sempre in bolletta, troveremo pure il canone della Rai. Avviare le liberalizzazioni fu una buona cosa, ma adesso bisogna proseguire.

Se resteremo fermi, non dovremo stupirci di pagare così tanto in cambio di così poco.Carlo Lottieri

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