L'acciaio non parla più italiano. Nonostante una lunga tradizione che ha fatto dell'Italia il secondo produttore in Europa, la siderurgia nostrana dopo essere stata pesantemente «azzoppata» dalla crisi sta finendo in mani straniere, e precisamente sotto il controllo di una nuova ondata di investitori afro-asiatici. È così per l'Ilva, che potrebbe passare agli indiani di ArcelorMittal (in cordata con il gruppo Marcegaglia), dopo un lungo interesse - non ancora sopito - dell'altra indiana (la Jindal); ed è così per la Lucchini su cui ha messo le mani l'algerina Cevital. Dopo l'assalto francese al latte della Parmalat e a una serie di brand della moda (Bulgari, Brioni, Pomellato), e la recente invasione di investitori esteri arabi (Alitalia, Ansaldo Energia...) e cinesi (Ferretti, Benelli, Cifa), sull'industria italiana si scatena dunque una nuova ondata di cavalieri bianchi. Tornando all'acciaio, ieri dopo lunghi mesi di commissariamento e di crisi finanziarie, è arrivata dal colosso ArcelorMittal la prima offerta per l'acquisizione dell'Ilva. «In questi mesi abbiamo avuto un dialogo costruttivo con il commissario Piero Gnudi - spiega la società -. Avendo avuto l'opportunità di visitare gli impianti in diverse occasioni, crediamo di avere l'expertise e le risorse richieste per risanare l'Ilva, e abbiamo per questo inviato un'offerta non vincolante». Una dichiarazione d'intenti che dovrà reggere il passo con le esigenze del gruppo (e dei siti di Taranto, Novi Ligure e Genova) che si è dato un mese di tempo per decidere. Nel frattempo potrebbe arrivare anche l'offerta di Arvedi (l'unica italiana ancora in gioco) e quindi il commissario Gnudi dovrebbe essere nelle condizioni di scegliere. Ma non sarà secondaria la questione degli investimenti. «Si ipotizza per l'Ilva - spiega un analista - un esborso di 500-600 milioni (senza considerare i debiti che potrebbero addirittura azzerare il valore della società), ma chi compra deve prevedere 2 miliardi di investimenti tecnologici e 1,8 per il risanamento ambientale previsti dall'Aia». In parallelo, la saga delle Acciaierie Lucchini di Piombino, secondo polo siderurgico d'Italia, si sta risolvendo con il passaggio a Cevital, player algerino semi sconosciuto che ha battuto sul filo gli indiani di Jindal. Secondo indiscrezioni, l'offerta supererebbe i 400 milioni, ma soprattutto garantirebbe la ripresa dell'intero ciclo integrale della fabbrica con una diversificazione della produzione (si punta anche a porto e logistica) e maggiori tutele per gli oltre 2000 lavoratori della Lucchini e dell'indotto.
A conti fatti, però, sono un lontano ricordo le 210 aziende che producevano l'acciaio destinato ad accompagnare il miracolo economico degli Anni '50, così come molti dei nomi storici del settore da Falck a Cogne. Eppure, ancora nel 2012, l'Italia risultava il secondo Paese europeo (dopo la Germania), con 27,3 milioni di tonnellate di acciaio prodotte, e il primo per volume di riciclo di rottame ferroso.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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