In Egitto l’esercito «liberatore» spara sulla folla

BengasiDopo l'entusiasmo dei primi mesi dell'anno, la contagiosa rivoluzione del mondo arabo partita dai boulevard di Tunisi si blocca in piazza Tahrir, al Cairo, dove l'esercito meno di due mesi fa acclamato dalla popolazione ha usato ieri la forza per reprimere una manifestazione pacifica; fatica in Siria dove il governo minaccia la tolleranza zero contro nuove proteste; langue sul fronte libico, dove le forze dei ribelli sono bloccate in una protratta battaglia contro i sostenitori del regime; rallenta in Bahrein dove le autorità stanno indebolendo l'opposizione con arresti e repressioni. E in molti Paesi della regione, dove i successi dei vicini avevano innescato sollevazioni, i complicati destini delle più promettenti rivoluzioni libica, egiziana e yemenita hanno dato un colpo all'entusiasmo delle giovani generazioni.

EGITTO
Ieri l'esercito egiziano ha fatto irruzione all'alba in piazza Tahrir, il luogo in cui si sono tenute per quasi un mese le proteste che hanno costretto il raìs Hosni Mubarak a dimettersi. I soldati sono intervenuti armati per disperdere i manifestanti che da ore sfidavano il coprifuoco. Secondo fonti mediche egiziane, due persone sono rimaste uccise. L'opposizione chiede le dimissioni del capo del Consiglio supremo delle Forze armate, il generale Mohammed Hussein Tantawi. L'esercito è accusato di proteggere la ex leadership, primo fra tutti il deposto presidente Mubarak, che la popolazione vorrebbe vedere alla sbarra. Dalla caduta del raìs i militari, che guidano ora il Paese e si sono presentati come garanti di una transizione pacifica, sono stati incapaci di prevenire il caos. Poche settimane fa sono scoppiati violenti scontri tra musulmani e cristiani al Cairo che hanno causato numerose vittime. E i morti di ieri ricordano che la rivoluzione non è affatto completata.
SIRIA
Il contagio rivoluzionario ha toccato la Siria con ritardo. La repressione del regime di Bashar el Assad è stata però immediata. Dal 15 di marzo, secondo gruppi per i diritti umani siriani, le vittime degli scontri tra manifestanti e polizia sarebbero già 130. Dopo le violenze di venerdì, in cui sono rimaste uccise 37 persone, il governo ha promesso ieri di aumentare il livello della repressione. «Non c'è spazio per la tolleranza», ha fatto sapere il ministero dell'Interno siriano, mentre in diverse città la popolazione era già in strada. Dopo i morti di venerdì, a Latakia e Daraa le forze dell'ordine hanno sparato ancora sulla folla per disperdere le manifestazioni, spiegano testimoni. Il regime di Assad, sotto la pressione della piazza, ha annunciato qualche giorno fa la creazione di un comitato che si occupa di cancellare le leggi di emergenza in vigore nel Paese, ma finora nessuna riforma è stata presentata alla popolazione, frustrata da anni di governo autoritario.

LIBIA
La rivoluzione in Libia, che ha spaccato il Paese in due, si è fermata lungo il fronte, su una strada in mezzo al deserto. Ieri, le forze del colonnello Moammar Gheddafi e quelle dei ribelli male addestrati e male armati si sono scontrate ancora una volta nella cittadina di Agedabia, circa 200 chilometri a est di Bengasi. Mentre i giovani rivoluzionari sembrano ancora una volta perdere terreno sul fronte, i leader dell'Unione africana si sono incontrati per tentare di mettere fine alla situazione di stallo, peggiorata anche dalle recenti tensioni tra i vertici militari rivoluzionari e la Nato, i cui aerei hanno colpito pochi giorni fa i carri armati ribelli.

BAHREIN
Le forze di sicurezza del Bahrein stanno cercando di arginare la rivolta, che insanguina la capitale Manama ormai da settimane, accanendosi contro i leader della protesta. Ieri all'alba, uomini incappucciati e agenti di polizia hanno fatto irruzione nella casa di Abdulhadi Al Khawaja, appena fuori città: il cinquantenne è un noto attivista per i diritti umani. Secondo la figlia Zeinab, intervistata da Al Jazeera, i poliziotti hanno picchiato il padre per poi trascinarlo via con loro. In seguito alle proteste che per giorni hanno bloccato Manama, il regime del piccolo e ricco Paese del Golfo ha imposto lo stato di emergenza.

YEMEN
Il governo yemenita ha ritirato ieri il suo ambasciatore dal Qatar, in segno di sfida e protesta nei confronti di un piano proposto dai Paesi del Golfo, che prevede le dimissioni del presidente Abdallah Saleh.

Mentre il regime era impegnato nella sua battaglia diplomatica, nel difficile tentativo di difendere la propria legittimità sul piano internazionale, migliaia di persone sono scese nelle strade della cittadina di Taiz, nel Sud, e nel porto di Aden, cariche di rabbia e frustrazione per l'impasse nel Paese.

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