Era il custode del cinema "alto"

Era il custode del cinema "alto"

Con la morte a novantacinque anni di Michelangelo Antonioni, il giorno dopo quella d'Ingmar Bergman, è un tipo di regista, intellettuale e problematico, a estinguersi di colpo. Simultaneo, l'addio degli esponenti più settentrionale e più meridionale dell'«incomunicabilità» assume - e forse a loro sarebbe piaciuto - dimensione simbolica.

Bilancio dopo questi due giorni di lutto cinematografico: Il settimo sigillo e Il posto delle fragole, Cronaca di un amore e Blow Up appartenevano a un mondo equilibrato, dove lo spettatore poteva scegliere. Oggi non più: il declino della qualità media dei film è così consolidato da parere irreversibile. Quindi non è un caso se a giorni uscirà Idiocracy, il film brillante scritto da Etan Coen, dove s'immagina che un militare, poco intelligente, si svegli dall'ibernazione, scoprendo che il grande successo del 2506 s'intitola Culo e solo quello mostra, in ogni attività. Morale: in un mondo di abbrutiti, l'ex ibernato pare un genio...

Si dirà: con l'ermeticità, Antonioni ha contribuito, come Bergman, a isolare il cinema «alto» dal cinema normale. Ma in ciò ha avuto molti e autorevoli complici, se si guardano i riconoscimenti ai suoi film: L'avventura (premio speciale della giuria a Cannes nel 1960), La notte (Orso d'oro a Berlino, 1960), L'eclisse (premio speciale della giuria a Cannes, 1962), Deserto rosso (Leone d'oro a Venezia, 1964), Blow Up (Palma d'oro a Cannes, 1966). Ora, se in quel periodo di avvento della società affluente e insieme di allargamento e dunque crisi d'identità della borghesia, i maggiori festival hanno coronato e ri-coronato Antonioni, significa che il suo cinema rifletteva una realtà, magari crogiolandovisi. L'anti-borghese Antonioni fu infatti adottato dai borghesi.

Formatosi nei Gruppi universitari fascisti (Guf), critico al Corriere padano di Italo Balbo, all'ombra di Guido Aristarco, sceneggiatore di un soggetto di Vittorio Mussolini per Roberto Rossellini, quello di Un pilota ritorna (1942), Antonioni aveva avuto una formazione di documentarista, attento soprattutto alla qualità delle immagini. Sconterà quest'estetismo trent'anni dopo, quando Chungkuo/Cina canterà la Cina di sempre, più che la Cina Popolare, irritando il governo che gliel'aveva commissionato, proprio come un altro documentario, L'Italia non è un Paese povero di Joris Ivens (1960), aveva deluso l'Eni che gliel'aveva commissionato.

Del resto c'è autobiografia anche nel personaggio principale di Blow Up, un fotografo di successo (David Hemmings): delle opere dell'Antonioni maturo, questo è il capolavoro, illuminato dallo splendore di Jane Birkin e Vanessa Redgrave. Anche per il delicato rapporto fra cinema e censura Blow Up fu un evento: per la prima volta, seppur col divieto ai minori di 14 anni, era ammesso sugli schermi italiani il seno di una donna bianca. (quello della nera era ammesso fin dai documentari coloniali).

Antonioni aveva inclinazione anche per la pittura. Ciò l'aveva portato a bussare alla porta di Matisse, a Nizza, nel 1943; invano: non gli erano graditi gli occupanti italiani, come appunto Antonioni, allora ufficiale del Regio Esercito, oltre che aiuto di Marcel Carné per Les enfants du paradis (in Italia Amanti perduti).

Poi c'era la letteratura, e dai film di Antonioni si sente: Cronaca di un amore (1950) era un soggetto originale, sceneggiato da lui stesso con Francesco Maselli, ma tanto ricordava Ossessione di Visconti, tratto da un romanzo di James Cain; I vinti (1952), a episodi, scritto con Suso Cecchi d'Amico, Turi Vasile e Roger Nimier, mostrava con diffidenza l'Europa che si americanizzava (proprio come Sete di Bergman); La signora senza camelie (1953) riproponeva il sodalizio con Maselli e la Cecchi D'Amico, più Pier Maria Pasinetti, nel mostrare i retroscena del cinema; Le amiche (1955) attingeva a Tre donne sole di Pavese; Il grido (1957), scritto da Elio Bartolini ed Ennio de Concini, dava sfondo proletario ai drammi personali che poi Antonioni trasferirà su sfondo borghese.

Proprio Il grido darà modo ad Antonioni di conoscere Monica Vitti, che nel film doppiava Dorian Gray. Cominciava, quando ancora nessuno dei due era davvero famoso, una lunga intesa professionale e personale. La prima avrà momenti anche amari - gli insulti a Cannes dopo la proiezione dell'Avventura -, ma diverrà tipica di un'epoca, come negli Stati Uniti l'unione fra Arthur Miller e Marilyn Monroe. La Vitti era meno celebre, ma più brava della Monroe e, come lei, veniva dal cinema comico: vi sarebbe tornata, con immenso successo dopo la separazione da Antonioni. Nella cui vita sarebbe entrata Enrica Fico, sua assistente negli ultimi lavori, quelli dopo Zabriskie Point (1970), Professione reporter (1975) e Identificazione di una donna (1982).

Ma non sarà per Al di là delle nuvole e tanto meno per l'episodio Il filo pericoloso delle cose, nel collettivo Eros (2004), che ricorderemo Antonioni. Chi rise della seriosa frase «Mi fanno male i capelli» in Deserto rosso ora può, se non piangere, rimpiangerla.

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