Vivere la guerra come se fosse un gioco, ma senza la scossa, virtuale di una consolle e visiva di uno schermo al plasma. Perché dopo la grande sbornia di una qualsiasi playstation si sta riscoprendo il bisogno della manualità, del contatto, dove la pelle e le emozioni sono chiamate a interagire.
Siamo a Beirut, capitale di un Libano che sta trascorrendo mesi di calma apparente e surreale dopo anni e anni di fuoco incrociato. Ci sarebbero tutti gli ingredienti per proiettarsi verso una serenità quantomeno artificiale, ma il retaggio dei tempi che furono è un demone che sequestra gli animi. Fin dalla tenera età.
L'ABC Shopping Centre è il centro commerciale per eccellenza di Beirut, tra negozi che espongono le più importanti griffes e ambulatori che promettono di sbiancare i denti in meno di mezz'ora a 80 dollari. Attraversando il reparto giocattoli, per alimentare il gene del peter pan che alberga in noi, quell'attesa da omologazione svanisce. Poche bambole, trenini e macchinine, ma una distesa di armi giocattolo. I soldatini rappresentano l'antipasto tollerabile in attesa del piatto forte di inaudita violenza. Sorprende la collezione di kalashnikov. Se ne trovano di tutti i modelli, dal più conosciuto «AK-47», protagonista di tanti colpi di stato soprattutto nell'Africa nera, al nuovissimo «74M», con telescopio regolabile. Premendo il grilletto ecco la sorpresa: una voce in arabo preregistrata dice «ammazza l'ebreo». Roba da propaganda Hezbollah.
Il pezzo però più gettonato è un vera e propria postazione antiaerea in scatola da montare. Raggiunge dimensioni ragguardevoli, costa 700 dollari, e prepara i bambini a tattiche di guerra che vanno ben oltre l'assalto corpo a corpo. «Ne vendiamo anche una ventina di esemplari al mese - ci spiega Intissar, la giovane commessa - noi seguiamo regole di mercato. Ai bambini questi giochi piacciono, almeno quanto i Lego». Che per la cronaca a Beirut sono soprattutto costruzioni che riproducono aerei militari o incrociatori da battaglia.
Giochi per bambini, ma anche per adulti. Soprattutto se economicamente benestanti. Il quartiere Hamra di Beirut è il cuore pulsante della città e del benessere. Si ostentano Mercedes, Bmw o Porsche Cayenne come se fossero una virtù assoluta. Feiz, 37 anni, si definisce inventore di divertimenti. «Il mio business è dedicato a persone che vogliono dimenticarsi di essere uomini d'affari, imprenditori edili, o semplicemente gente molto ricca. Si rivolgono a me per vincere la noia. Quella noia che solo i nuovi ricchi provano, quando ormai hanno già sperimentato di tutto».
Tutto o quasi, perché un viaggio in auto o pullmino da Beirut a Damasco e ritorno è roba da adrenalina a mille. «Soprattutto sapendo che il ritorno può diventare una sorta di roulette russa», spiega sorridendo. Feiz non si scandalizza e intasca fino a mille dollari a passeggero. «Vedono i profughi girare per la città. Hanno ascoltato spesso le loro storie terribili e ora vogliono viverle sulla pelle per gioco. Ben sapendo che il viaggio può addirittura spezzare la vita». Si parte da Beirut al calar del sole. Il punto d'incontro è la fatiscente stazione dei pullman di Dawra, non molto distante dal quartiere cristiano di Gemmayze.
Il «biglietto» si acquista sotto lo sguardo volutamente distratto dei soldati di un check point. Poi via, verso Damasco, attraversando il confine dalle parti di Yaffur, minuscola località sguarnita di miliziani o di lealisti di Assad. «In tutto sono ottantasette chilometri, e altrettanti per il rientro. Zigzagando tra le bombe, cercando di evitare i posti di blocco. Se tutto va bene all'alba siamo di ritorno». Feiz non si pone alcun problema di etica.
È convinto che il viaggio aiuti sia i clienti temerari sia chi veramente vive nella miseria. «Ogni mese - rivela - dopo aver giocato, c'è qualche nuovo libanese che si scopre filantropo e comincia ad aiutare i profughi siriani».
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