Unicredit, Buzzi Unicem, Indesit, Campari. La crisi dell'Ucraina minaccia l'industria italiana in affari nel Paese con oltre 300 aziende, la metà delle quali ha una presenza stabile nell'area. Così, a pochi mesi dalle tensioni che hanno travolto Libia ed Egitto, un altro fronte critico si apre per l'Eurozona mandando in tilt le principali Borse europee e le valute di mezzo mondo. Compresa Piazza Affari che ieri ha pagato con un calo di oltre 3 punti il possibile impatto che, l'inasprirsi del conflitto, potrebbe avere sui rapporti economici che intercorrono tra Roma e Kiev.
D'altra parte, al di là del rischio più o meno reale dello scoppio di un conflitto, Italia e Ucraina sono legate da un interscambio commerciale che vale 3,5 miliardi. Inoltre, l'Italia rappresenta per l'export ucraino il terzo mercato comunitario (dopo Polonia e Germania) e il settimo a livello globale. Costruzioni, banche, energia, sono tanti i settori a rischio. A cominciare da Unicredit (-6,16%): la banca italiana sconta l'esposizione nel Paese con la controllata Ukrsotsbank e, in particolare, la notizia secondo cui la banca, che conta una rete di 435 sportelli, ha chiuso le sue filiali a Sinferopoli e ha ridotto l'orario degli sportelli in Crimea. Inoltre, la banca ha limitato temporaneamente i prelievi dagli sportelli bancomat in tutto il Paese a 1.500 grivnie, pari a circa 112 euro. Sul fronte bancario italiano, paga le tensioni a Est anche Intesa Sanpaolo, in calo del 4% nonostante, a gennaio, abbia annunciato la vendita della controllata ucraina Pravex Bank. Tra i finanziari, è presente nel Paese anche Generali, con Garant Auto, la seconda compagnia del Paese nel settore danni e Garant Life, terza nel settore vita. Un altro brand italiano di peso, che in queste ore sta seguendo con attenzione l'evolversi della situazione, è Campari che, nel 2008, ha acquistato la società ucraina Cjsc. E quindi opera direttamente nel Paese. Uno dei settori maggiormente coinvolti e poi quello cementiero. Con Buzzi Unicem l'Italia è esposta sia in Ucraina, sia in Russia.
E non va meglio a Indesit, nel Paese dal 1974 e che oggi conta 10 uffici commerciali e oltre 300 centri servizi e assistenza in 150 città del Paese. I venti di guerra potrebbero avere anche un impatto sulle società di gas e petrolio. Sul fronte energetico, infatti, è atteso un rimbalzo del prezzo del gas. Fattore che, in questo caso, potrebbe favorire Eni, maggiore importatore di gas europeo dalla Russia. Ma anche società come Enel ed Egp per l'esposizione al carbone e il focus sulle rinnovabili non incentivate. Non finisce qui: tra le società italiane con commesse in corso nel Paese ci sono anche Salini Costruttori (per l'autostrada Kiev-Chop) e Saipem. Fuori dal listino, tra i gruppi in affari con Kiev, ci sono Iveco, Ferrero, Alitalia, Maserati, Ferrari e Ducati.
Ma anche Benetton, Poste Italiane e Fincantieri. Insomma i legami economici con l'Ucraina sono molteplici, e non solo per l'Italia. Per questo l'occupazione russa della Crimea e le minacce Usa di sanzioni contro Mosca sono state accolte male fin dall'apertura dei mercati. Il risultato finale a Mosca è disastroso con una caduta del 10,8% con il rublo ai minimi storici malgrado l'intervento della banca centrale russa per rialzare i tassi. In difficoltà anche le valute delle regioni vicine, lo zloty polacco, il fiorino ungherese e la lira turca.
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