Gli interessi economici prima di tutto. Ma anche il bisogno di tirare fuori le unghie, aggrapparsi all'idea della guerra per non scivolare giù, nelle sabbie mobili dei sondaggi. È la guerra annunciata e sbraitata da David Cameron per le isole Falkland, le Malvinas per gli Argentini, dove pochi anni fa è stato scoperto il petrolio, oro nero in tempo di crisi. «Londra è pronta alle armi per difendere le Falkland» rivendicate dall'Argentina. Rispolvera parole di fuoco, il leader britannico. Una reazione dura, dopo le rivendicazioni avanzate dal presidente dell'Argentina, Cristina Kirchner, che aveva accusato Londra di esercitare sulle terre contese, e all'origine di una guerra tra i due Paesi, «un colonialismo da diciannovesimo secolo». La Gran Bretagna, ha tuonato Cameron, possiede «forti armi di difesa» sul posto ed è «assolutamente chiaro» che le userà nel caso di un confronto militare. Cameron non si sforza di fare minacce velate, ma anzi mettendo in guardia: «Londra dispone ancora di uno dei più importanti budget per la difesa al mondo. Ricevo regolarmente una serie di rapporti sulla questione», ha sottolineato Cameron, «poichè voglio sempre essere al corrente della nostra solidità militare e della nostra determinazione. Abbiamo diversi caccia è unità militari nelle Falklands».
Cameron contro Kirchner, Inghilterra contro Argentina, vecchia ruggine. La guerra del 1982 provocò la morte di 655 argentini e 255 britannici. Attorno alle Falkland, abitate da 3mila persone, è stato recentemente scoperto del petrolio. Il mese scorso l'Argentina aveva protestato per la decisione britannica di ribattezzare Queen Elizabeth land una porzione di Antartide rivendicata da Buenos Aires. Cameron ha respinto le richieste della presidente Kirchner: «Gli abitanti delle Falkland hanno manifestato chiaramente il desiderio di rimanere britannici».
È vero. Secondo un sondaggio gli abitanti si sentono inglesi nell'anima e con l'Argentina non vogliono avere niente a che fare. Interessi economici, sgravi fiscali hanno certamente un qualche appeal, e la Kirchner lo sa. Il Foreign Office ha precisato che non vi potranno essere negoziati sulla sovranità delle Falkland «a meno che lo vogliano i suoi abitanti». Un referendum è previsto in marzo, ma l'esito pro britannico è ampiamente scontato. Eppure bisogna fare un passo indietro per vedere il quadro nell'insieme.
A casa, a Londra, Cameron non va. Funziona male, malissimo, la situazione gli sta scivolando di mano; ci sono i tre milioni di inglesi in cerca di lavoro, la crisi, la più violenta dal 1930 ha i contorni di un incubo. Fino a due anni fa era il giovane rampante pieno di promesse per tutti, oggi il suo fascino irresistibile si è fatto scavalcare nei sondaggi persino dal tentennante Ed Miliband. Secondo un sondaggio di YouGov di alcuni mesi fa dava risultati chiari e impressionanti. Se ci fossero state le votazioni l'anno appena passato, i Tory avrebbero ottenuto il 29% dei voti. La percentuale più bassa dal 2004 per un partito di governo. Per contro i Labour si sarebbero aggiudicati il 40 per cento, i Libdem l'11%. Ma il sondaggio rivelava un aspetto ben più preoccupante: un inglese su due era convinto che Cameron avesse perso il controllo del Paese.
E oggi, questa nuova, risoluta, escalation della disputa tra Londra e Buenos Aires sulle isole Falkland può riaccendere la vitalità degli inglesi. Rispolverare l'antica supremazia inglese potrebbe ridare ossigeno ad un traballante Cameron, fare una guerra per quel mondo alla fine del mondo. E dall'altra parte? Sono mesi che la presidenta Cristina chiede la ripresa di negoziati sul futuro dell'arcipelago, denunciando «l'arroganza» del governo inglese. Ma non c'è solo nazionalismo dietro a queste guerriglie diplomatiche. C'è il petrolio, scoperto nel 2011.
Gli abitanti dell'arcipelago che in marzo voteranno per decidere se restare o meno con il Regno Unito
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