Un golpe giocato con l'arte del Monopoli. È questa l'essenza del colpo di Stato messo a segno domenica dal presidente egiziano Mohamed Morsi con l'appoggio finanziario del Qatar. Un golpe che consegna alla Fratellanza Musulmana e all'emiro di Doha non solo il controllo dell'Egitto, ma soprattutto quello del Canale di Suez. Un canale da cui passano gli approvvigionamenti energetici dell'Europa e i convogli militari americani diretti verso Golfo Persico, Iraq e Afghanistan. E che anche economicamente rappresenta il boccone più ghiotto dello scacco matto messo a segno all'indomani dell'incontro al Cairo tra il presidente Morsi e l'emiro del Qatar Hamad Bin Khalifa Al-Thani. Un incontro durante il quale l'Emiro s'è impegnato a versare due miliardi di dollari nelle casse della Banca centrale Egiziana. Un semplice acconto, secondo le malelingue, in vista della firma di un contratto di leasing che cederebbe al Qatar la gestione del Canale di Suez per i prossimi 99 anni.
Fantasie? Forse, ma per capire come Morsi e i Fratelli Musulmani siano riusciti a esautorare il ministro della Difesa generale Mohamed Hussein Tantawi per far posto al comandante dell'intelligence militare Abdul-Fattah el-Sisi e ad altri generali compiacenti bisogna partire dal Qatar. Lì vola ai primi di marzo il numero due della Fratellanza Musulmana Khairat al-Shater per concordare nuovi investimenti in Egitto. Lì hanno sempre trovato asilo e appoggi gli esponenti del movimento islamico perseguitati da Mubarak. E da lì risuonano, grazie alle parabole della premiata tv di corte Al Jazeera, i sermoni dello sceicco Yusuf Al Qaradawi, voce e mente della Fratellanza Musulmana. Gli emiri sono dunque ben felici di sfruttare al meglio l'ascesa al potere dei loro protetti. Il progetto principale è, come ammettono gli stessi Fratelli Musulmani, un investimento da 20/30 milioni di dollari per la costruzione di un nuovo porto a Suez. L'investimento è tutt'altro che azzardato. Il Canale è l'unica voce in attivo dei bilanci egiziani ed ha garantito solo nel 2011 entrate per 5,2 milioni di dollari. Ma non è solo questione di denaro. Controllare Suez significa garantirsi l'egemonia strategica ed energetica tra Mediterraneo, Medio Oriente e Golfo Persico. Per un Emirato che non s'accontenta d'essere solo il secondo produttore mondiale di gas, ma punta a contrapporsi a Iran, Arabia Saudita e Turchia nel grande Risiko mediorientale, è un'occasione da non perdere.
Per controllare Suez bisogna però esautorare Tantawi e i suoi generali. I preparativi dello scacco matto iniziano a giugno quando Iqatar, la banca d'investimenti dell'Emirato, s'aggiudica il controllo di Egf Hermes. Fondata negli anni d'oro del regime di Mubarak, quotata nelle principali piazze finanziarie e presente in 30 nazioni, l'Egyptian Financial Group non è solo un'istituzione finanziaria. È la vera cassaforte dell'Egitto: attorno vi ruotano gli investimenti dei generali e delle aziende gestite dalle Forze Armate. Possederla significa controllare i loro soldi e quelli dei loro alleati. Tantawi annusa il pericolo e reagisce sciogliendo il Parlamento controllato dai Fratelli Musulmani e promulgando il decreto costituzionale del 17 giugno che svuota d'ogni potere la presidenza. A denunciare le mire del Qatar ci pensa Ahmed Shafiq. Per tutta la campagna elettorale il candidato più amato dai generali evoca il rischio di una cessione del Canale di Suez al Qatar. Per i Fratelli Musulmani le sue sono solo «spudorate menzogne propagandistiche». Ma oggi molti si chiedono perché sabato, subito dopo l'incontro con l'emiro Al-Thani, il presidente Morsi sia corso da Ahmed Fadel, il generale a cui Mubarak aveva affidato l'Autorità di Suez e su cui gli americani contavano dal 2003 per garantire la sicurezza delle loro truppe in transito dal Canale.
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