Nel verbale conclusivo del Consiglio dei ministri di venerdì notte l'annuncio è buttato un po' lì, tra la nomina del presidente dell'Unione Tiro a Segno e i provvedimenti per il fiume Serchio. Ma le poche righe del «punto C» dell'ordine del giorno segnano un brusco innalzamento dello scontro tra il governo Monti e la magistratura intorno a un tema cruciale: dove finisce il diritto-dovere dei giudici ad accertare la verità sui reati, e dove inizia il segreto di Stato? Conta più la caccia ai colpevoli o la sicurezza della Nazione? Tradotto in concreto, l'interrogativo riguarda la sorte degli agenti segreti del Sismi sotto processo a Milano per il sequestro dell'imam Abu Omar, sospettato di terrorismo internazionale, e rapito dalla Cia nel febbraio 2003. Ma è evidente che lo scontro va al di là del caso Abu Omar, e investe principi generali.
Poco prima della mezzanotte di venerdì, il governo decide di fare ricorso alla Corte Costituzionale perché azzeri il processo in corso a Milano a carico del generale Niccolò Pollari, ex direttore del Sismi, del suo vice Marco Mancini e di altri tre 007. Motivo della richiesta: il processo starebbe marciando per la sua strada in violazione del segreto di Stato, utilizzando documenti che rivelano l'organizzazione interna della nostra intelligence e i suoi rapporti con i servizi segreti degli Stati Uniti. Per due volte, nelle scorse settimane, Monti aveva cercato di convincere i giudici milanesi a fermarsi, facendo arrivare loro due missive firmate dai nuovi capi dei servizi segreti che ribadivano l'esistenza del segreto di Stato su quasi tutta la vicenda.
Ma il processo è andato avanti ugualmente, gli atti segreti sono stati acquisiti e letti in aula, e sulla base di essi la Procura generale ha chiesto la condanna di tutti gli imputati. A questo punto, pressato dai vertici della nostra intelligence e forse anche da quelle alleate, Monti ha deciso di scendere in campo personalmente.
Davanti alla Corte Costituzionale il governo solleva quel che si chiama tecnicamente «conflitto d'attribuzioni tra poteri dello Stato», chiede cioè alla Consulta di fare da arbitro nello scontro tra esecutivo e magistratura. In particolare, Monti chiede che vengano annullate la sentenza della Cassazione che l'anno scorso annullò i proscioglimenti degli agenti del Sismi (decisi in primo e secondo grado a Milano, per effetto del segreto di Stato imposto dai governi Prodi e Berluconi) ordinando un nuovo processo; e l'ordinanza del 28 gennaio della Corte d'Appello di Milano, che in apertura del nuovo processo ha acquisito agli atti i verbali di interrogatorio che il governo considera segreti.
Di fatto, Monti e il suo ministro della Giustizia Paola Severino (che fino all'ultimo, si dice, ha tentennato sulla decisione) erano chiamati a una scelta di campo. Da una parte la Procura milanese e la Cassazione, dall'altro i nostri apparati di sicurezza: dai cui vertici sono partiti verso Palazzo Chigi segnali d'allarme sulle conseguenze che la condanna degli 007 imputati avrebbe avuto sulla efficienza e sulla credibilità dei «servizi» italiani.
Così nasce la lettera con cui il 1° febbraio la Presidenza del Consiglio aveva dato atto che gli agenti del Sismi avevano agito «a fini istituzionali» nella lotta al terrorismo islamico. E così nasce il decreto notturno del governo.
Martedì il processo riprende, e potrebbe arrivare la sentenza. Ma destinata a essere cancellata, se la Consulta darà ragione a Monti.
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