Più imam nelle carceri francesi. Formati in Francia e assunti a tempo pieno dallo Stato per svolgere, «professionalmente», la loro funzione di guide spirituali. Ecco la trovata del governo socialista per arginare il fenomeno del proselitismo islamico nelle prigioni. Si è infatti scoperto, come raccontato dagli inquirenti, che la cellula smantellata lo scorso fine settimana (7 dei 12 presunti tuttora in stato di fermo) vantava nomi di ex detenuti con piccoli precedenti alle spalle, reclutati dalle reti del terrorismo internazionale solo dopo essere usciti di prigione.
Alcuni degli arrestati avevano soggiornato in carceri francesi, dove avrebbero subìto il processo di radicalizzazione; trasformandosi, da semplici delinquenti fermati per furto o reati minori, in teste convertite all'islam più intransigente e deviato. Sapendo che sono oltre 200 gli istituti penitenziari in Francia - circa 60 sono già interessati dalla pratica del culto islamico con guida ufficiale - il governo ieri mattina ha lanciato l'idea. Per il ministro della Giustizia, Christiane Toubira, è «necessario che il culto nelle prigioni sia svolto in conformità con i valori e le leggi della Repubblica», ha detto a Europe 1. Perciò, per combattere l'indottrinamento, portiamo nelle carceri più imam, ma con certificazione statale; per ridimensionare lo spazio di manovra di quelli fai-da-te, che si improvvisano tali.
Il governo ha dunque previsto l'assunzione a tempo indeterminato di decine di imam, che già dall'anno prossimo entreranno «di ruolo» in 30 penitenziari, e in altri 30 l'anno successivo. Nel 2014 «farò lo stesso sforzo (già chiesto al governo per mettere a bilancio 2013 le prime 30 assunzioni, ndr)», ha annunciato il Guardasigilli. Non più dunque detenuti, magari arrestati per terrorismo, che si improvvisano predicatori. Ma più imam «istituzionalizzati». Resta però l'interrogativo della provenienza, e su che tipo di islam si vada a predicare. Quello wahabita o quale?, si chiedono gli esperti. Basta un titolo «francese» per rendere un imam un servitore dello Stato, e non dell'islam?
Il dibattito sulla pericolosità di lasciare l'islam libero di agire nelle carceri ha portato il governo a prendere comunque questa decisione. Specie dopo che il procuratore titolare dell'inchiesta antiterrorismo ha spiegato che uno dei coinvolti nella cellula smantellata, Jeremie-Louis Sidney, 33 anni, di nazionalità francese, era «un delinquente comune convertito solo di recente all'islam radicale» il quale «voleva morire da martire» (Poligamo, si era rasato la barba, segno che «stava per passare all'azione», continua il magistrato).
Secondo gli esperti, il fenomeno del proselitismo islamico in carcere è reale, anche se sembra diminuito negli ultimi anni grazie a una maggiore presenza di imam «ufficiali». Altre ricerche sostengono invece che sia stato il divieto di preghiera collettiva, applicato nell'era Sarkozy, a disincentivare le pratiche del proselitismo più estremo negli istituti di pena. Ma il ministro della Giustizia non ha voluto attribuire la responsabilità all'islam deviato nelle carceri. «Non bisogna confondere tutto, ci sono anche le condizioni di sovraffollamento che rendono spesso piccoli criminali di prigione soggetti pericolosi una volta usciti: non è solo un problema di radicalizzazione religiosa».
Anche in Italia, come documenta l'Istituto superiore di studi penitenziari in un fascicolo di 136 pagine relativo alla diffusione del terrorismo islamico nelle carceri, c'è «un'insidiosa opera di indottrinamento e reclutamento svolta da 'veterani', condannati per appartenenza a reti
terroristiche, «nei confronti di connazionali detenuti per spaccio di droga o reati minori», attraverso «lo sfruttamento del particolare stato psicologico di coloro che entrano nel sistema carcerario».twitter @F_D_Remigis
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