Giornata storica in Norvegia ieri, dove il via al nuovo governo segna anche l'entrata al potere, per la prima volta nei 40 anni della sua storia, del Partito del Progresso populista e anti-immigrazione. L'esecutivo è frutto di un'alleanza con i conservatori guidati da Erna Solberg, che ha portato il suo partito alla vittoria nelle elezioni del 9 settembre e guida ora una nuova compagine nella quale tiene per sé il ministero degli Esteri, dell'Industria e della Sanità, ma è costretta a cedere all'alleata Siv Jensen dicasteri prestigiosi come Finanze, Giustizia, Lavoro e soprattutto quello del Petrolio e dell'Energia, portafoglio chiave in un Paese che al petrolio deve le sue immense ricchezze che fanno del fondo sovrano norvegese il più grande del mondo (oltre 600 miliardi di euro).
I temi che hanno infiammato la campagna elettorale - immigrazione, drastico taglio alle tasse, più sicurezza, più infrastrutture e grandi lavori (grazie a quella che viene definita la manna petrolifera), più armi alla polizia, un po' meno ambiente (in discussione trivellazioni e sfruttamento di aree finora risparmiate), meno divieti per l'alcool, giro di vite contro rom e clandestini - sono stati tutti mantenuti e confermati e rappresentano lo zoccolo duro della formazione che ha scalzato i laburisti di Stoltenberg, dopo otto anni di potere ininterrotto.
Come è tradizione a Oslo i 18 ministri (11 conservatori e 7 populisti) sono stati divisi per genere: 50% donne e 50% uomini; l'età media della coalizione è di 43 anni e la provenienza geografica dei membri del nuovo governo rispetta tutte le aree del Paese. Solberg, 52 anni, ha definito il suo nuovo governo «buono e competente», forse perché sono per ora caduti gli accenti xenofobi da molti criticati.
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