Il giorno di San Valentino del 1989 a Londra splende il sole. Salman Rushdie alza il telefono di casa e dall'altra parte della cornetta una giornalista della Bbc spara la domanda senza tanti preamboli. «Come si sente? È appena stato condannato a morte dall'ayatollah Khomeini». Nella testa dello scrittore musulmano nato a Bombay nel 1947, ma inglese da tempo, guizza un solo pensiero: «Sono un uomo morto».
L'autore de I Versi satanici secondo il grande vecchio della rivoluzione iraniana è «colpevole» di aver insultato il profeta Maometto e per questo deve morire. Ruhollah Khomeini emette una fatwa, un editto religioso, che «obbliga» qualsiasi buon musulmano a far fuori Rusdhie per lavare l'offesa con il sangue.
Inizia così l'odissea del primo intellettuale che da 23 anni ha una mannaia dell'islam sulla testa. In questi giorni è uscito Joseph Anton, a memoir dal nome falso che lo scrittore anglo indiano ha adottato per nascondersi. «Quello che mi è accaduto era il prologo di altri episodi del genere» sottolinea Rushdie presentando le sue memorie. Dai Versi satanici, alle vignette di Maometto fino all'ultimo finto film boiata sul Profeta, il filo conduttore è sempre lo stesso. Non a caso sabato scorso la famosa taglia sulla testa di Rushdie è stata aumentata a 3,3 milioni di dollari. Lo ha annunciato, come nel 1989, Hassan Sanei della fondazione religiosa iraniana 15 Khordad con base a Teheran. La fatwa non può essere cancellata e ogni tanto rispunta come un fiume carsico per ricordare a tutti che se qualcuno tocca l'islam muore. Oppure vive per anni da «fantasma» come è capitato a Rushdie.
«L'ufficiale della Squadra speciale (della polizia inglese ndr) è arrivato la mattina del 15 febbraio (1989) - scrive lo stesso autore anglo indiano, in terza persona, sul settimanale New Yorker anticipando le sue memorie - E dice che la minaccia è considerata estremamente seria, a Livello 2. Significa che (sono) la persona più in pericolo del paese a parte, forse, la regina». Per Rushdie è l'inizio di una vita blindata, sotto protezione, con una Jaguar corazzata che lo porta via da Londra e «consuma come un carro armato». L'Iran e il resto del mondo islamico si infiammano dopo la lettura della fatwa su Radio Teheran. Con cartelloni che raffigurano Rushdie impiccato vengono assaltati uffici americani, incendiate librerie, pure in Europa, che espongono i Versi satanici e uccisi i musulmani più assennati che difendono la libertà d'espressione. Rushdie ricorda la frase lapidaria di Iqbal Sacranie del Comitato per gli affari islamici inglese: «La morte è una soluzione troppo facile per lui. La sua mente dev'essere tormentata per sempre fino a quando non chiederà perdono all'Onnipotente Allah». Nel 2005 questo simpatico signore è diventato Sir d'Inghilterra su raccomandazione del governo Blair.
Nei primi giorni di vita nascosta, la scorta consegna a Rushdie un «bottone antipanico per qualsiasi emergenza. Lo provo e non funziona». Il distacco più doloroso è dalla sua prima moglie Clarissa e dal figlio Zafar che ha solo 9 anni. Non esistono ancora telefonini o Skype e Rushdie stabilisce di chiamare a casa ogni sera alla stessa ora. Un giorno non risponde nessuno. La polizia manda una macchina a controllare e trova la porta aperta con le luci accese. Scotland Yard mobilita i corpi speciali temendo che moglie e figlio di Rushdie siano stati presi in ostaggio o peggio. Lo scrittore immagina già «i corpi insanguinati nel salotto» per colpa sua. Mentre la polizia sta per fare irruzione, Zafar alza finalmente la cornetta spiegando che con la mamma ha fatto tardi a una rappresentazione teatrale della scuola.
Il 3 agosto 1989, però, Mustafa Mahmoud Mazeh, salta per aria in un hotel di Londra mentre prepara una bomba per Rushdie. Il mancato terrorista legato agli Hezbollah libanesi è sepolto nel cimitero dei «martiri» di Teheran.
Nonostante il Regno Unito lo protegga con l'Operazione Malachite, dal nome di una dura pietra, lo scrittore deve pagarsi da solo il rifugio nell'entroterra inglese. All'inizio le autorità lo consigliano di sottoscrivere un atto di pentimento e Rushdie chiede scusa «per l'afflizione provocata dalla pubblicazione del mio romanzo fra i seguaci dell'islam». La risposta non si fa attendere. Alì Khamenei, l'attuale guida suprema dell'Iran, sentenzia: «La lunga freccia nera è lanciata e sta arrivando sul bersaglio».
Rushdie si adatta, suo malgrado, a una vita da «fantasma». Gli cambiano nome e diventa, anche sugli assegni della banca, Joseph Anton. L'esistenza blindata lo fa deperire fisicamente e cominciano gli incubi: «Sogno una fossa appena scavata, vuota come la mia vita e ci finisco dentro».
La scorta cerca di alleviare la tensione. Dopo mesi di isolamento porta di nascosto Rushdie al cinema. Nel 1993 lo scrittore condannato a morte fa la sua prima apparizione in pubblico a un concerto degli U2 a Londra accolto da un'ovazione.
Per levare il dente del giudizio nello studio di un professionista, la squadra speciale che lo protegge studia un piano di evacuazione che prevede di portare via Rushdie in un sacco nero dei cadaveri.
Dal 2000 va a vivere negli Stati Uniti e oggi abita a New York. Pian piano ricomincia a parlare, ma ogni volta che tocca temi come il velo islamico arrivano nuove minacce. Nel 2007 la regina Elisabetta lo nomina cavaliere. Per Ayman al Zawahiri, oggi capo di Al Qaida, «è un insulto all'islam che merita una precisa risposta», ovvero la morte. «Ogni 14 febbraio è come se ricevessi una cartolina di San Valentino» spiega oggi lo scrittore ricordando il giorno della fatwa.
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Nato a Bombay, naturalizzato britannico, Salman Rushdie, 65 anni, è scrittore e saggista, tredicesimo nella lista stilata dal «Times» sui 50 scrittori inglesi più importanti dal '45. Laureato a Cambridge, è stato educato da musulmano ma oggi è ateo.
La sua narrativa, un misto di mito e fantasia, è ambientata in gran parte nel subcontinente indiano, ma i suoi lavori si occupano spesso di conflitti fra religioni. Nell'88 pubblica «Versi satanici», che scatena le ire nel mondo musulmano
di Fausto Biloslavo
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