Se il "made in Ikea" vince anche in Cina

Il colosso svedese conquista la patria del low cost. Nel negozio di Pechino 6 milioni di visitatori l’anno: è il record mondiale

Se il "made in Ikea" vince anche in Cina

Basta un sabato a Pechino per contarne tanti quanti in una settimana intera in una città d’Europa. Ventottomila in un giorno, tutti nel negozio Ikea della capitale. È il più frequentato al mondo: sei milioni di visitatori nel 2011, più che tutti i danesi o i finlandesi in massa. Il record successivo, guarda caso, spetta al negozio di Shanghai: 5 milioni di visitatori nel 2011. Anche lì, non basterebbero tutti gli abitanti della Nuova Zelanda o dell’Irlanda. Numeri mostruosi, giganti come l’Impero celeste: che di solito è conquistatore ma, in questo caso, come i romani coi greci, è conquistato. Dal design del marchio svedese, ma soprattutto dal modello che rappresenta, lo stile di vita occidentale che molti cinesi desiderano se non proprio imitare, almeno guardare, conoscere, provare.
A guidare le operazioni sul fronte orientale c’è una donna, Gillian Drakeford, che di recente ha spiegato al Wall Street Journal come funziona il mondo Ikea in Cina. Primo: le vendite sono cresciute del venti per cento nell’ultimo anno, per un totale di 775 milioni di dollari (quasi 590 milioni di euro). Il che significa che i cinesi non amano i negozi della catena svedese soltanto per farci un giro, ma comprano pure. Anche se il fenomeno Ikea-luna park è ancora piuttosto diffuso: come ha raccontato anche il Los Angeles Times tempo fa, molti (e molti in Cina significa sempre moltissimi) amano così tanto gli store che ci portano tutta la famiglia per la scampagnata del weekend, ci trascorrono anche quattro o cinque ore, mangiando gelati e hot dog, bevendo caffè, gironzolando fra i mobili e magari appisolandosi pure su un divano. C’è anche chi ha scelto l’Ikea come luogo romantico: lo Shanghai Daily ha scoperto che nel negozio cittadino, al martedì e al giovedì pomeriggio uomini e donne single fra i 40 e i 60 anni si ritrovano nella zona caffè, sorseggiano una bibita o un tè (se si ha la tessera fedeltà è pure gratis), si incontrano, fanno amicizia, e qualcuno qualcosa di più. All’inizio occupavano il ristorante per ore - hanno spiegato gli inservienti - così alla fine hanno creato un’area apposta per loro.
Ma i numeri della signora Drakeford dicono che i cinesi sono stati conquistati davvero: il cliente tipo è attratto dallo stile di vita occidentale, è giovane (fra i 25 e i 35 anni), ha un reddito e un’educazione superiori alla media. Sono interessati al design, e al marchio. È insomma la middle class delle grandi città, il nuovo ceto in ascesa che acquista le case e anche i mobili, in uno «spazio vitale sempre più ristretto» come spiega la Drakeford: case di 70-90 metri quadri, abitate da varie generazioni della stessa famiglia, stipate all’inverosimile.
Il punto è che il reddito, anche se più elevato rispetto a milioni di concittadini, è comunque inferiore rispetto alla classe media occidentale: e perciò Ikea deve fare i conti con la concorrenza al ribasso. «Dal 2000 abbiamo tagliato i prezzi del 60 per cento» confessa Drakeford. Per esempio: il tavolo «Lack» costava 120 yuan quando Ikea ha aperto, oggi ne costa 39.
Il problema non sono i copioni spudorati (come nel caso di Apple, sono stati scoperti anche falsi negozi Ikea), ma i rivali locali che si stanno creando un loro spazio. Quindi: il gigante dell’arredamento di design low cost si è preso la Cina, il Paese del low cost per eccellenza. Ma deve comunque battere sul tasto dell’offerta, ed essere ancora più low cost del solito. Come? Facile, rifornendosi sul posto. Spiega sempre Drakeford: «A livello globale il 30 per cento dell’assortimento Ikea arriva dalla Cina; circa il 65 per cento della merce venduta in Cina arriva da fonti cinesi». Cioè l’Ikea ha conquistato la Cina, ma pure la Cina ha cinesizzato gli svedesi. Il risultato è chiaro a tutti: un grande business.

E anche una metamorfosi dell’identità, di quella Cina che guarda a Occidente anche per i valori, l’estetica, lo stile. Perché quando cominci a mettere via i soldi, cambi anche vita. L’ha spiegato un giovane cliente: «Vogliamo essere moderni». È così semplice, e a volte basta solo pagare.

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