Imprenditrice sociale di successo, 31 anni, già con l'Onu in Afghanistan è tornata a Kabul per fondare la scuola dei cantastorie, un progetto originale premiato da Rolex. L'italiana Selene Biffi non è un'illusa visionaria, ma una testimone impietosa della tragedia afghana.
Barbara De Anna, ferita gravemente in un attacco suicida a Kabul il 24 maggio, non ce l'ha fatta. Ieri è morta. La conosceva?
«L'ho conosciuta proprio nella capitale afghana frequentando gli incontri degli espatriati. Di lei ricorderò il carattere solare, la voglia di vivere e il suo essere sempre a disposizione degli altri. L'ultima volta che ho visto Barbara era un lunedì all'ambasciata italiana. Venerdì hanno scatenato l'attacco che le è costato la vita. Io ero partita per l'Italia qualche giorno prima».
Come vivono i civili occidentali a Kabul?
«Siamo nel pieno dell'offensiva di primavera talebana che è iniziata il 27 aprile. I livelli di allarme sono molto alti ed i movimenti limitati. Anche nella nostra scuola ci capita spesso di sentire i boati delle esplosioni. Inutile nasconderci che la situazione è difficile. Ci troviamo in un momento storico particolare: l'offensiva degli insorti in corso, le trattative con i talebani in Qatar, il ritiro delle truppe internazionali alla fine del prossimo anno. Il livello di sicurezza è scarso. Appare evidente il limite di un passaggio di consegne dalla Nato alle forze governative afghane, che è stato tanto sbandierato ma non ha mai trovato delle basi solide su cui poggiare».
La minaccia dei talebani nella capitale è palpabile?
«Assolutamente sì. La situazione è cambiata rispetto a 3-4 anni fa, la prima volta che sono arrivata a Kabul. Adesso attaccano il venerdì, giorno di preghiera, in pieno pomeriggio. Sta diventando tutto molto più fluido ed imprevedibile».
Ha paura?
«A Kabul la paura è il compagno che ti cammina accanto tutti i giorni. Il più fedele per assurdo, che non ti abbandona mai, soprattutto se sei donna e da sola. Però la paura non è solo un fardello, ti sprona ad andare avanti».
Qual è il timore peggiore?
«I rapimenti di occidentali sono meno frequenti rispetto al passato, anche se i sequestri di afghani che collaborano con le truppe occidentali aumentano. Le minacce principali sono le auto bombe e gli attacchi suicidi di tipo complesso, come quello in cui è rimasta vittima Barbara».
In Afghanistan hanno fallito pure le Ong?
«Ricordo il capitolo di un libro che si intitola La fregatura dell'Afghanistan, dove si spiega che solo a Kabul erano registrate 2.500 Ong. Basta pagare una tassa di mille dollari, avere un indirizzo e una linea telefonica e vieni considerato un'organizzazione umanitaria non governativa. Us aid, l'agenzia di aiuti allo sviluppo americana, ha denunciato che l'80% dei fondi riversati in Afghanistan (18 miliardi dal 2001 al 2008) ritornano in Occidente e ben poco rimane nel paese. Non c'è molta trasparenza negli aiuti umanitari. La volontà di verificare l'impatto vero e proprio dei progetti sul terreno e di far vedere come i soldi vengono spesi è scarsa. L'Afghanistan negli ultimi anni è diventato l'esempio del fallimento dell'aiuto umanitario.
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