«Nonostante la crisi, lItalia è leader nella produzione di borse e accessori di pelletteria grazie alla qualità, al design e allartigianalità delle sue creazioni. Il risultato di tutto questo si chiama Mipel».
Lo dice con orgoglio Mauro Muzzolon, direttore generale della Mostra internazionale di Pelletteria e Accessori in corso nel quartiere firistico di Milano-Rho.
Direttore, oggi non cè settore che non si pianga addosso. La crisi ha prodotto davvero danni irreversibili?
«Non possiamo far finta che la crisi non ci sia. Cè, e ci sarà ancora per qualche tempo. Tuttavia i nostri prodotti piacciono soprattutto allestero. Nel primo semestre 2011, le esportazioni sono aumentate del 28% per un valore complesivo di oltre 1,6 miliardi di euro. Gli incrementi più significativi li abbiamo riscontrati a Hong Kong (+53%), negli Usa (+34%), in Giappone (+19%) e in Russia (+10%). In Europa i mercati più vivaci rimangono Francia e Germania. Il mercato domestico già stagnava ancora prima della crisi mondiale. Se a questo aggiungiamo che su 20 milioni di borse ufficiali che si vendono nel nostro Paese ce ne sono altri 30 milioni che si vendono per strada, sulle spiagge e altrove, il conto della crisi è servito anche sul tavolo-Italia».
Il consumatore italiano è più pessimista dello straniero e quindi spende meno?
«Se le aspettative negative dei consumatori ci avevano già detto che il prodotto borsa non fosse ai primi posti nella ipotetica classifica delle loro necessità, adesso con laria che tira temo una ulteriore e più significativa contrazione del mercato interno».
Soluzioni e ricette?
«Mah, non saprei. In ogni caso credo che il problema del mercato italiano non sia risolvibile nel breve-medio termine. Nel primo giorno di Mipel (domenica scorsa, ndr) abbiamo visto molti stranieri: tanti russi, tanti orientali. Ma pur essendo domenica... gli italiani erano pochissimi. Tuttavia, visto che il nostro settore ha una grande vocazione allexport, la presenza di così tanti buyer stranieri non può che rallegrarci. Ho visto lavorare i nostri operatori... Scrivevano. E quando si scrive, nel nostro ambiente, si tratta di commissioni. Le nostre imprese fanno un ottimo prodotto, ciascuna ha trovato la strategia giusta per crearsi una nicchia e, soprattutto, hanno capito quanto sia importante linternazionalizzazione, realtà che comunque riguarda tutti i settori merceologici».
Cè spazio per una ulteriore crescita allestero?
«Si stanno aprendo mercati che fino a poco tempo fa consideravamo completamente chiusi o, in ogni caso, aperti solo alle grandi griffe del lusso come la Cina. Oggi notiamo che laggiù cominciano ad apprezzare anche i prodotti cosiddetti di fascia media, altrettanto di qualità, ma fatti da altre aziende che sono poi lo zoccolo duro del nostro settore. Se il mercato cinese si aprisse in maniera consistente sarebbe davvero tuttaltra musica, le prospettive sarebbero molto diverse. Ma quello cinese è un mercato difficile, occorre avvicinarsi con strumenti adeguati, diversi dai soliti».
Il mercato cinese, però, ha anche laltra faccia della medagglia: i prodotti falsificati...
«È vero in parte. Mi risulta che anche i cinesi comincino a rifiutare le copie. I ricchi vanno nelle boutique del lusso, il ceto medio va nei negozi normali a caccia di un prodotto di buona fattura e di ottima qualità.
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