Da festival a festa dell’Unità: pure Gramsci padre della Patria

Direi che può bastare. Cinque sere di festival, di Sanremo e dell’Unità, non certo quella d’Italia, hanno ribadito un concetto già noto: la televisione, pubblica e privata, lascia spazio a qualunque satira, se poi è quella su Berlusconi allora le dosi possono essere, anzi sono, industriali. È il regime, è la dittatura, così scrivono, così dicono. Il Risorgimento è stato l’ultimo pretesto per stuzzicare il governo e il suo primo ministro. Quando, ai tempi del liceo, sventolavamo il tricolore e cantavamo Mameli, ci urlavano «fascisti», pur facendo noi parte di un movimento politico liberale; la bandiera veniva bruciata in piazza, insieme con quella americana, rappresentava il nazionalismo conservatore, retrogrado, il potere capitalista; l’unico drappo autorizzato doveva portare il colore rosso.
Nel nuovo secolo Roberto Benigni è entrato, al teatro Ariston di Sanremo, in groppa a un cavallo, sbandierando il tricolore e ha concluso il suo eccezionale intervento, recitando, o meglio, mormorando, come un patriota deluso e sconfitto, l’inno nazionale. Qualche minuto prima, però, aveva sottolineato l’amore e il senso fortissimo della patria da cui erano mossi gli uomini di quel tempo. Ho sentito dire che la lezione sul Risorgimento e su Mameli, decantata dal premio Oscar, dovrebbe essere trasferita su dvd e distribuita nelle scuole perché gli alunni apprendano. Sarebbe opportuno, comunque, prima di chiudere la confezione, apportare alcune correzioni agli errori. I padri della patria? Cavour odiava Mazzini e da questo era ricambiato; Cavour venne accusato dai contadini di avere speculato e approfittato, per interessi personali, nella vicenda dell’esportazione del grano, essendo lui proprietario di diversi mulini; Cavour portò in tribunale i direttori dei giornali che appoggiavano la rivolta del popolo piemontese; Cavour definì Mazzini il «capo di un’orda di assassini»; Mazzini disse e scrisse che Cavour «corrompe la gioventù italiana»; Cavour era contrario all’unità del Paese e spedì una nave in Toscana per far arrestare Garibaldi; il generale, dopo lo scioglimento dell’esercito meridionale voluto dal Conte, lo attaccò violentemente in un discorso alla Camera; asterischi scolastici per chiarire alcuni punti che non cambiano comunque l’eccellenza affabulatoria, il coinvolgimento emotivo e l’arte scenica di Benigni, la cui satira resta unica per la genialità e l’intelligenza.
Prima, durante e dopo, hanno preso la scena Luca e Paolo, definiti la grande rivelazione del festival. Non so a chi si siano rivelati, essendo i due attori da tempo in circuito e non certo su emittenti clandestine, semmai, guarda la combinazione, su Mediaset e con ottimi risultati, grazie al loro talento. Le «grandi rivelazioni» hanno messo assieme una serie di scenette, uguali nella polpa, con un po’ di goliardia, qualche canzone parodiata, tanto per andare contro Berlusconi e la macchina del fango (?); con la furbata di un paio di battute sulla sinistra ma con l’evidenza di una pernacchia a Berlusconi (ma va?), per dimostrare la loro indipendenza intellettuale, non certo ideologica. Questa è stata esaltata dalla commemorazione di Antonio Gramsci, padre della patria non so per chi, proprio nella serata di giovedì dedicata ai 150 anni dell’Unità del Paese; e poi il finale carnevalesco di venerdì, con la stella rossa appuntata sul finto colbacco e il pugno chiuso al cielo, secondo sogno antico e impegno quotidiano. Mancavano le salamelle e l’invito «seguirà dibattito», poi la festa dell’Unità sarebbe stata completa. Ma Sanremo, ma il festival, che cosa sono diventati? Che cosa devono essere? Un programma satirico? Un’occasione di propaganda per scaricare spazzatura sui personaggi del governo, con l’offesa a un ministro presente in sala? Non bastano i programmi su tutte le reti, pubbliche e private, da mattino a sera? La maggioranza degli italiani, stando ai risultati dell’ultima consultazione elettorale, deve subire per forza l’insulto di essere ignorante e volgare? Il Paese è banale sui Raiuno ed è reale altrove? Chi avesse voglia di guardare il festival della canzone deve accettare in silenzio tutto questo? È scritto nel contratto tra Rai e Comune di Sanremo? È previsto dagli accordi fra la Rai e gli autori e la direzione artistica? Senza la satira, non di Benigni o di Grillo o di artisti degni di ciò, il festival non esisterebbe? Per fortuna è finito, il festival.

Ma non è finita la commedia. Da oggi si ricomincia, basta scegliere, stavolta senza canzoni, senza la Belen, senza la Canalis. Gli altri, le vittime e i martiri del regime, ci saranno tutti, uniti, pronti alla riscossa. Avanti o popolo.

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