Per dire come sta messa una certa Italia che si considera da sempre colta e progressista: il suo fornitore ufficiale di nuovi miti è Adriano Celentano. Il giovedì sera, il Molleggiato serve la lista di chi è rock e di chi è lento, cioè di chi è bello, bravo, buono e di chi è brutto, sporco, cattivo. A quella parte del Paese rimasta orfana dopo il malinconico tramonto dei Mao e dei Fidel Castro, idolatrati per decenni eventualmente senza conoscerli, sembra di rinascere. Anche perché l'affannosa caccia di nuove icone non poteva certo fermarsi ad Alvaro Vitali (sdoganatore: Veltroni). Adesso, finalmente, s'è trovato un pensatore capace di dispensare modelli e slogan alla catena di montaggio. Santoro, Depardieu, Ligabue nella prima sfornata. E poi sotto con la seconda, pezzi forti Valentino Rossi e Roberto Benigni. Il messaggio che sovrasta la sfilata del giovedì è facile facile, con quella simpatica dose di demagogia sempre gradita all'Italia dei pensatori giusti: chi passa da Celentano è rock, cioè splendido e soprattutto nostro, chi sta fuori invece è lento, cioè mediocre e dunque loro. Rockpolitik è il nuovo ipermercato del politically-correct: di quel che è soave ascoltare, poi doveroso dire e pensare.
Purtroppo, l'operazione comporta un rischio tremendo. Che in questa euforica e facilona lista del bello e del giusto, dunque del loro, venga cooptato anche chi è bello e giusto, ma non loro. Prima o poi doveva succedere, l'altra sera puntualmente è successo. Vittima, François Marie Arouet, parigino nato nel 1694 e morto nel 1778, passato alla storia con uno pseudonimo: Voltaire.
È bastata una citazione di Benigni, la più facile e la più nota, che si trova probabilmente anche sulle carte dei Baci Perugina: ma sì, quella famosissima, «non la penso come te, ma sono pronto a farmi ammazzare perché tu possa esprimere il tuo pensiero». Applausi fragorosi, Celentano incantato (ma davvero non l'aveva mai sentita? Dov'è vissuto fino a settant'anni, in una camera iperbarica?). Purtroppo, gli effetti sono inevitabili: dall'altra sera, anche Voltaire è rock. Cioè bello, cioè giusto, cioè loro. Bisogna prepararsi: cominceranno a citarlo ovunque e in continuazione. Quanto a leggerlo, tutto un altro discorso.
Ecco, alle moltitudini entusiaste che si apprestano a sequestrare anche questo nuovo mito, stavolta qualcosa va detto. Si tengano Santoro e Ligabue, si tengano Depardieu e pure Valentino Rossi, si tengano tutti quelli che vogliono, ma Voltaire no. Lo lascino stare. Non lo sporchino, con questa loro manìa di dividere il mondo in bianco e in nero, in giusto e sbagliato, in buono e cattivo. Voltaire è un uomo molto particolare, non a caso è vissuto da solitario. Di più: per chi ama il conformismo e il luogo comune, il pregiudizio e l'opportunismo, per chi da sempre consegna il cervello a qualche maestro e comodamente si adegua al pensiero dominante, Voltaire non è un nome da citare amabilmente. Lo sappiano, i festanti e plaudenti discepoli della parte rock: Voltaire è il peggiore dei loro nemici.
Benigni ha detto cose sublimi e vere, parlando di questo padre dell'Illuminismo: è un personaggio grandissimo, cui noi tutti dovremmo dire grazie quotidianamente, perché è grazie a uomini così che ora sappiamo cosa siano la libertà, la democrazia, la tolleranza. Come ha ammonito il comico-poeta (o più semplicemente, genio), senza uomini simili saremmo bestie. Messa così, è da sposare subito. Ma c'è qualcosa che Benigni non ha detto, o non ha avuto il tempo di dire. E cioè che Voltaire, accendendo i lumi sulle tenebre dell'umanità, in pieno Settecento, ha puntato il suo pensiero e i suoi scritti dinamitardi proprio contro tutto quanto da anni, ormai, costituisce il bagaglio di una certa Italia autoproclamatasi illuminata. Che cosa, in sostanza? Gli slogan, i luoghi comuni, i tabù, i pregiudizi, il dogma, l'umiliazione degli avversari: dicono niente queste parole?
Prima, molto prima del comunismo e del fascismo, Voltaire si è battuto contro l'assolutismo. Voltaire ha chiesto al singolo uomo di educarsi, di crescere, di riscattarsi, senza timore di andare controcorrente, di essere scomodo, di risultare persino sgradito alla maggioranza: semplicemente, gli ha chiesto - nel suo supremo interesse - di inseguire sempre un unico scopo, cioè usare la propria testa. Un'idea di libertà compiuta e totale: non tanto libertà di fare questo o quello, ma soprattutto libertà da qualsiasi condizionamento e da qualsiasi ideologia. Voltaire ha vissuto la sua lunghissima vita coltivando un solo pregiudizio: il pregiudizio contro i pregiudizi. E se proprio vogliamo dargli un'etichetta - che non vorrebbe mai - va considerato solo un grande padre del pensiero liberale, nel senso più alto e più nobile del termine.
Ma tu guarda la combinazione. Studiandolo (letture consigliate: Candido, Dizionario filosofico, Trattato sulla tolleranza), emerge chiarissimo come sia un mito, un genere di pensiero, molto distante dal conformismo girotondista e benpensante di questa stagione. Voltaire sta tutto da un'altra parte. Voltaire non si sognerebbe mai di dividere il mondo in due come una mela, di qui i buoni e di là i cattivi, di qui il bianco e di là il nero, di qui i rock e di là i lenti. Perché è il padre del dubbio, non delle certezze.
Si rassegnino, almeno stavolta, gli italiani rock.
La filosofia stonata di Celentano
Commenti
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.