La fine dell'impero britannico

Ha­milton e Hodgson fuori pista, fuori dal mondia­le di F1 e dall’Europa. Una domenica lunghissima, sofferta, vissuta fino a notte tra il sogno e l’incu­bo, diversa nei colori e nei dolori, l’Italia fa festa grande. L'Inghilterra è in lutto

La fine dell'impero britannico

Vince la rossa, vince l’azzurra. Viva l’Italia. Così, all’ultimo secondo, all’ultimo rigo­re, come nelle storie e nelle favole belle. In semi­finale, con merito, cade l’Impero inglese, Ha­milton e Hodgson fuori pista, fuori dal mondia­le e dall’Europa. Una domenica lunghissima, sofferta, vissuta fino a notte tra il sogno e l’incu­bo, diversa nei colori e nei dolori, l’Italia fa festa grande, il cavallino della Ferrari è il più veloce sulla terra di Spagna, l’inno di Mameli commuo­ve un niño che si chiama Fernando Alonso. A Kiev notte magica e di sofferenza estrema, due ore di football senza gol e decisione ai rigori, la più perfida per chi perde, la più dolce per chi vin­ce. Coriandoli e fuochi di artificio per l’Italia di Prandelli che rispedisce a casa,sull’isola la peg­giore Inghilterra vista negli ultimi due secoli.

Ita­lia superiore in tutto, nel gioco, nelle occasioni, nella voglia di fare e di vincere anche se il risulta­to finale è stato definito da qualcosa che nulla ha veramente a che fare con la partita. Ma que­sto è il football, per fortuna. L’Italia che risale, dopo essere data per morta e spacciata, l’Italia che reagisce alle proprie miserie e ai propri erro­ri. Un Paese tradito da chi non lo conosce e non le vuole bene e, per fortuna, riscattata nello sport, anche in una semplice, ordinaria partita di calcio, come direbbe il bocconiano professor Mario Monti, primo ministro. Il suo omonimo, soltanto di none, Balotelli Mario se l’è alla fine cavata, con un sei in pagella, presentandosi co­me un eroe fuori dalla trincea, per il primo cal­cio di rigore, dopo aver sbagliato, nelle due ore di partita, tutto quello che un attaccante non do­vrebbe mai nella vita. C’erano i segnali di una notte difficile, dopo quel pomeriggio grandioso di Valencia. E così è stato. Come la Ferrari che era partita undicesima ed è finita prima l’Italia era segnata e jellata, due pali, i muscoli avvele­nati di molti azzurri, gli inglesi modesti ma an­che molesti, poi la risalita, la crescita, quella in­vocata da Monti e la sua orchestra, il rigore, quel­lo voluto dalla Merkel.

Ci siamo ancora, eccoci risorti dopo la nebbia e i gas tossici, dopo le pri­me polemiche che sono un segnale positivo di un ambiente che almeno freme, in fibrillazione perché vede quello che sembrava irraggiungibi­le. Fuochi di artificio anche se nulla è ancora ac­caduto, anche se deve arrivare la Germania in semifinale e allora tornano alla mente le notti te­desche del duemila e sei e certe coincidenze. Chissà. Mario Balotelli sbaglia tre monumenta­li palle gol, non basta l’impegno,non bastano le guerre al mondo che non lo comprende, non ba­sta la propaganda elettorale. Nel football conta­no i fatti e per un attaccante c’è una sola rispo­sta: il gol. Questo è mancato alla squadra in una partita lenta e tossica,con l’Italia nettamente su­periore nella quantità e nella qualità, due pali e altre situazioni bruciate all’ultimo metro, la squadra ha dominato un avversario inutile, sen­za gioco, la peggiore nazionale inglese di sem­pre, a conferma che Roy Hodsgon al di là della simpatia, resti un mistero della fede Balotelli, dunque,l’uomo della grande attesa,l’uomo del­la grande sfida, ha fatto atto di presenza.

Peter Pan è scivolato sulla Nutella troppe vol­te. Ha mandato a quel paese il compagno di squadra Daniele De Rossi che gli aveva suggeri­to una giocata diversa, ha sbagliato l’impossibi­le, ha corso da solo e solitario.

Premesse e pro­messe, null’altro mentre attorno i compagni cercano idee e soluzioni,trovando di fronte l’au­tobus inglese, così come Hodgson schiera dife­sa e centrocampo, un catenaccio che nemme­no Rocco e i suoi fratelli avrebbero immagina­to.

Non c’è nulla da rimproverare.

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