La follia esiste E nasconderla è pericoloso

Se un tecnico inverte le bocchette di ossigeno e azoto, e i pazienti muoiono, se una biologa confonde i simboli negativo-positivo, e permette il trapianto di organi infetti, è facile l’attribuzione di responsabilità. Ma se una mamma «disturbata» getta dal balcone la propria bimba, un padre «depresso» spara alla figlia o uno zio «malato», violenta quattro piccine, la colpa di chi è? Domanda difficile e inquietante allo stesso tempo: difficile perché coinvolge due argomenti delicatissimi, il segreto professionale e la tutela della salute dei pazienti stessi, ma anche inquietante, perché necessita una risposta: è possibile una prevenzione? La risposta è: sì. È possibile, basta avere il coraggio di ammettere che la follia esista, si la Follia, quella con la «F» maiuscola, quella che necessita di provvedimenti urgentissimi, come l’isolamento immediato dai parenti. Proprio la Follia, tanto poetica e avvolgente nelle parole dei cantautori, quanto gelida e macabra sulla pelle di tante vittime. Già, la Follia, quella che la Legge 180 ha cercato di cancellare, eliminando l’obbligo, da parte del medico, di segnalare alla Questura i malati potenzialmente «pericolosi per sé e per gli altri». Da allora, il segreto professionale conforta lo specialista nel non segnalare la pericolosità dei suoi pazienti: così accade che chi poteva essere fermato prima di compiere un delitto, o prima di uccidersi, non venga fermato. Assurdamente, infatti, la Legge 180 prevede, a livello di prevenzione, due soluzioni per chi soffre di gravi disturbi mentali: o il nulla, o il manicomio criminale per quelli che ammazzano.

Il cosiddetto Trattamento sanitario obbligatorio, ricovero breve (per non più di 7 giorni) previsto dalla Legge, non è che un palliativo, e comunque non prevede la «segnalazione» in Questura, bensì, al sindaco! È necessario che il medico abbia nuovamente l’obbligo di segnalare i pazienti «pericolosi per sé e per gli altri» alle autorità competenti, affinché, chi sta male, venga curato adeguatamente, e le sue potenziali vittime possano essere tutelate, e non più «sacrificate» sull’altare del segreto professionale. Questo significa prevenire, oltre che curare.
*Docente di Psicologia medica Università di Genova

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