Fosse comuni e raid: la guerra dei narcos terrorizza l’America

Una fossa comune è l’ultima traccia feroce e violenta della guerra portata avanti dai trafficanti di droga messicani. L’ennesima sparatoria tra polizia e bande, questa volta a combattere erano le squadre speciali della Marina messicana in una fattoria a San Fernando, nello Stato di Tamaulipas, nord-est del Messico. «Oggi abbiamo vinto noi» - devono aver pensato quelli delle squadre speciali. Nella sparatoria loro avevano perso un uomo, dei narcos, tre erano stati abbattuti. Lo sconforto è arrivato dopo, tutto insieme, all’improvviso, quando hanno trovato la fossa. 72 cadaveri, 58 uomini e 14 donne. Erano i rivali e i nemici dei narcos. È lì, in quel momento che l’amarezza assale, che la lotta al crimine diventa impresa disperata, infinita squilibrata. Da una parte mezzi scarsi, uomini mal pagati e soldi che non bastano mai. Dall’altra l’impero della cocaina che macina montagne di dollari, che muove investimenti, che compra banche e mezzi corazzati.
I narcos messicani sono diversi, sono più feroci e spietati dei trafficanti colombiani, non c’è paragone con la crudeltà di Pablo Escobar di Medellin. I messicani sono peggio, lo ha scrisse già Don Winslow nel «Potere del cane». La Famiglia di Michocoacan è il più grande cartello di narcotrafficanti mai esistito in America Latina, hanno un grande senso degli affari, controllano miliardi di dollari, hanno un loro reparto di intelligence, servizi segreti, mezzi militari. La guerra che oggi è in corso non è tra bande, ma direttamente con lo Stato e l’obbiettivo è far transitare la droga verso gli Stati Uniti, il maggior consumatore di cocaina al mondo. Obama ha capito, sa che il Messico può davvero mettere a repentaglio la sicurezza strategica degli Stati Uniti. È questa la guerra che davvero fa paura, il tallone d’Achille. Perché il Messico non è l’Afghanistan, è lì, ad un soffio. Ciudad Juarez è solo la prima, poi vengono Città del Messico, Tijuana, maledette terre di frontiera. «Ciudad Juarez è molto più pericolosa di Bagdad o di Kabul, a dirlo è il generale Barry McCaffrey, l’ex zar antidroga americano. «Ma Juarez, continua il generale, non è l’unico problema grave, lo stesso si verifica in tutto il nord del Paese».
Usa e Messico legate a doppio filo, l’aumento di uso di droga che aumenta al nord, il contrabbando di armi che attraversa la frontiera. La mattanza lì è scoppiata tre anni e mezzo fa, quando Calderon, il presidente cocciuto e testardo ha dichiarato guerra ai narcos con 100mila soldati. All’inizio sembrava solo politica, slogan elettorali. Invece sono arrivati i morti, i risultati, timidi, anche un minisommergibile usato per trasportare coca al nord intercettato. In tre anni una mattanza, oltre ventisei mila vittime. Oggi c’è un morto ogni ora. Gli analisti dicono che il brusco risveglio di Obama c’è stato a marzo, quando due funzionari del consolato sono stati uccisi. Hillary Clinton è volata subito a Città del Messico, ha parlato di «responsabilità da condividere», ha preso accordi con Calderon, ha rafforzato il Piano Merida, promettendo 1,3 miliardi di dollari. Poca roba se si pensa che solo nei primi sei mesi dell’anno i narcos hanno riciclato 15 miliardi di dollari. La guerra contro il narcotraffico «costerà tempo, risorse e vite umane» ha detto Calderon.
Il Messico è un pantano peggio dell’Iraq, più complesso dell’Afganistan. I due governi si sono promessi collaborazione, il governo federale manderà uomini nella zona di Cohauila, a Washington il generale Craig McKinley spedirà altri mille e duecento soldati a pattugliare la frontiera. E intanto la battaglia non convince più i politici messicani. Parlano di strategia sbagliata. Calderon e la sua cocciutaggine che sta causando un bagno di sangue continuo. «Sospendere la guerra ai narcos e proporre un accordo agli Usa, è questa l’unica strada» insiste il presidente del Senato Carlos Novarete del Partito della rivoluzione democratica. Anche Bill Clinton, nonostante gli sforzi della moglie ha ammesso: «È quasi impossibile avere la meglio sui narcos. Stiamo perdendo la guerra perché i delinquenti hanno armi migliori. E allora che fare?» Un piano integrale, non solo militare secondo Clinton.

Non è stato un caso infatti se Michelle Obama nel suo primo viaggio in solitario ha scelto il Messico. «Il 40 per cento dei ragazzi a ridosso della frontiera non studia e non lavora. Bisogna garantire più opportunità ai giovani messicani». Yes, we can può funzionare qui?

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