Francesco Bonifacio

Nacque nel 1912 in Istria, a Pirano, secondo di sette fratelli. Di famiglia modesta, nel 1936 fu ordinato sacerdote a Trieste e, dopo un primo incarico a Cittanova, divenne curato di Villa Gardossi. La zona comprendeva una serie di frazioni sparse, che don Bonifacio visitava continuamente. Ben presto si fece amare dalla gente del posto. Troppo, per la propaganda atea dei comunisti di Tito. Oggi il territorio tra Buie e Grisignana, dove svolgeva il suo ministero don Bonifacio, appartiene alla Croazia. Al tempo del Nostro, dal 1943 in avanti, era stato luogo di foibe (le cavità carsiche in cui si gettavano quelli da eliminare) e di pulizia etnico-ideologica. Nel 1946 due uomini della guardia popolare titina fermarono don Bonifacio di ritorno da Grisignana e lo portarono nel bosco vicino. Nessuno lo vide più. Uno dei suoi fratelli cominciò delle ricerche ma finì in carcere accusato di calunnia. Solo dopo molti anni un regista di teatro riuscì a farsi raccontare la verità da uno che aveva preso parte ai fatti. Il sacerdote era stato caricato sopra un'automobile e portato via. Poi, fatto scendere, era stato malmenato, spogliato, sfigurato a colpi di pietra e finito con due coltellate. Il suo corpo era stato buttato in una foiba. Non è mai stato ritrovato. Aveva trentaquattro anni e per la sua gente era «el santìn».

Furono almeno cinquanta i preti uccisi in quelle zone dagli jugoslavi di Tito. Ma una goccia nel mare, se paragonati ai ventimila infoibati perché italiani e/o non comunisti. Solo nel 2004 l’Italia ha potuto commemorare ufficialmente questi suoi morti.

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