Galan ministro? Quando disse: «Macché, io odio andare a Roma»

L'ANALISI Il direttore del «Gazzettino» Papetti: «Giancarlo è circondato ma non può arretrare»

La politica nazionale? «No, non fa per me. Io odio andare a Roma. Quando devo partire per la Capitale, sono già di malumore appena arrivo all’aeroporto. Io sono attaccato a queste terre e qui resterò». Parola di Giancarlo Galan, il 26 settembre 2006. La sfida tra Lega e Pdl veneto sul prossimo candidato governatore ha radici lontane, e per comprenderla fino in fondo non basta seguire gli annunci e le trattative più o meno riservate di questi giorni. La mappa di questa partita a due - ormai sfociata in battaglia in campo aperto tra il «guerriero solitario» Galan e una Lega in crescita ma non ancora primo partito - è al centro del libro del direttore del Gazzettino Roberto Papetti, La democrazia e l’educazione (Marcianum press): «Cronache dai confini interni di una società orgogliosa e inquieta», come l’ha definito Ferruccio de Bortoli nell’introduzione.
Quando nell’estate del 2006 Papetti dal Giornale passa a dirigere il Gazzettino, Galan è stato da poco rieletto governatore. Ma già nei corridoi (e non solo) si parla di un futuro «arrocco»: il Veneto la prossima volta andrà alla Lega, e il governatore sfrattato verrà spedito a Roma con un incarico di prestigio, nel governo o ai vertici del partito.
Ma lo scenario non è così semplice. E la tensione non è solo politica. Sono i mesi del Muro di Padova e della strage di Gorgo al Monticano - i custodi di una villa trucidati da una banda di rapinatori immigrati - e il Nordest da «modello» sta diventando un «caso». Questo prototipo di successo economico (e progresso sociale) studiato nel mondo entra in crisi: dal motto «Exporto ergo sum», dalla crescita costante e diffusa si passa alla difensiva, tra la concorrenza sleale della Cina e il crollo dei mercati mondiali. Fino a quando, pochi mesi fa, perfino la Cgil di Treviso chiede il «blocco immediato» dell’ingresso di nuovi immigrati.
Mentre il centrosinistra «brilla soprattutto per la sua sconcertante debolezza» - e Veltroni intervistato da Papetti fantastica un piano hollywoodiano di rilancio del Pd sul territorio, proprio pochi giorni prima di dimettersi da segretario - il vero contrasto politico è tutto interno alla maggioranza. «Il Veneto non può permettersi di rimanere ostaggio di una guerra fratricida», scrive Papetti nel giugno dell’anno scorso. Da un lato «Galan è circondato, ma si è spinto troppo avanti per potere tornare indietro». Dall’altro «l’aspirazione della Lega è del tutto legittima ma, se non si vuol correre il rischio di apparire come semplici cacciatori di poltrone, occorrerebbe anche spiegare cosa si vuole fare, quale tipo di Veneto si vuole costruire». In corso non c’è solo una partita locale, una polemica tra campanili e potentati di periferia.

«Il Nord, anzi il Nord-Nordest, ha una missione decisiva: salvare l’Italia», dice Sacconi in un’altra delle interviste pubblicate nel libro. Quando la stagione della crisi sarà alle spalle, annuncia il ministro trevigiano, il Veneto deve tornare «gigante economico», e diventare finalmente anche «gigante politico».

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