Gamberetti, calamari e pesciolini Non c'è mare senza fritto...

Dorato, croccante, di piccolo taglio purché gustato bollente Perché qualsiasi cosa, in pastella, diventa più buona

Maurizio Bertera

La frittura rende felici? Sicuramente. Qualsiasi cosa buona, avvolta da una pastella, lo diventa ancora di più. Lasciando da parte gli anatemi dei dietologi e i consigli dei nutrizionisti: il vero problema non sono le calorie o la digeribilità ma che un fritto sia buono, il più possibile leggero e misto.

Perché con tutto il rispetto per chiacchiere e zeppole, olive e arancini, suppli e panzerotti per non parlare delle specialità importate è il fritto misto a rappresentare il capolavoro del genere. E quello di pesce soprattutto in estate porta il godimento puro, da un mare all'altro della penisola, senza dimenticare che ce ne sono di buonissimi anche nei migliori ristoranti ittici delle città. Il fritto di pesce nella versione odierna ha una storia «giovane» rispetto ad altre specialità. Perché se è vero che nella cucina popolare e di strada, le alici, i «pescetti» o i calamaretti sono presenti già nel Medioevo (pensiamo solo all'importanza sociale e culinaria del «cuoppo» campano), il piatto ha assunto una sua dignità nelle case borghesi solo a metà dell'800 quando venne introdotto il servizio «alla russa» al posto di quello «alla francese»: la frittura di pesce era evidentemente danneggiata nel secondo caso, che prevedeva tutte le pietanze servite insieme a tavola, mentre nel primo arrivava caldissima sul vassoio di portata e divisa subito dai camerieri tra i singoli commensali. Non è un dettaglio, va mangiata immediatamente. Come predicano i cuochi dalle Alpi al Lilibeo con l'aggiunta di quelli giapponesi in Italia: la loro frittura il tempura riservata solo a calamari e gamberi (oltre a molte verdure) necessita di una minima immersione nell'olio e va gustata dopo pochi secondi, anche per gustare la caratteristica increspatura che deriva dai pezzettini di pastella gettati nella pentola. A dire il vero, questa rapidità non è brand solo orientale: l'espressione napoletana frijenno magnanno rende benissimo l'idea di un consumo «in diretta», soprattutto nel caso dell'amata frittura di paranza.

È quella di piccolo taglio fatta con merluzzetti, alici, sogliolette e dintorni che prende il nome dalla barca per la pesca a strascico: potremmo anche definirla come un mix di gustosi finger food, visto che in questo caso le posate sono rigorosamente bandite. Una peculiarità italica è la composizione diversa del fritto a seconda delle regioni e delle stagioni, in modo simile a quanto accade per la zuppa di pesce, piatto più impegnativo per un verso ma che perdona molto di più per un altro. Quindi, dalla frontiera con la Francia a quella con la Slovenia, passando per le isole si trovano fritti di ogni tipo con tre regioni a dettare la linea: Romagna (in questo caso va separata dall'Emilia), Lazio (in particolare, lungo la costa più vicina a Roma) e Campania (Napoli e la Costiera).

Per gustarlo, può andare bene il localino all'interno di uno stabilimento come uno stellato, anche se resta un piatto ovviamente più da trattoria-osteria-pescheria con cucina. Peraltro, lo diciamo come curiosità, il più famoso fritto misto di pesce in Italia (del mondo, forse) è quello del tristellato Da Vittorio, a Brusaporto: monumentale e perfetto insieme di pesci, crostacei, frutta e verdura servite in una «paella» direttamente al centro del tavolo.

Di sicuro, se fatto bene, il fritto misto è quanto di più lontano da quell'accezione negativa che trova spazio nei vocabolari. Tipo «mescolanza di cose diverse messe insieme alla rinfusa, senza costrutto». Non scherziamo, per favore. Questa è architettura (culinaria) purissima.

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