Gelosia, debiti e magnolie per la dolce Barbarella

Nemmeno da innamorato Gabriele D’Annunzio poteva rinunciare alla sua voglia di sedurre e poi ancora sedurre. Non solo tutte le altre donne, ma persino l’innamorata stessa, che tranquillamente già lo ricambiava. La seduzione veniva prima di tutto. Se scriveva una lettera - come quelle infervoratissime a Barbara Leoni - questa doveva innanzitutto essere scritta non solo bene, ma in stile decisamente seduttivo se non roboante. Esempio assoluto è proprio il libro che raccoglie le Lettere d’amore a Barbara Leoni di Gabriele D’Annunzio che Federico Roncoroni ha curato per le edizioni ES (pagg. 238, euro 23) le quali peraltro hanno giudicato troppo «forte» l’introduzione di Piero Chiara che pubblichiamo in queste pagine. C’è da dire che si trattava - oggi lo sappiamo per certo - del più grande amore che D’Annunzio ebbe nell’arco della sua intera esistenza. Si estese dal 1887 fino al 1892, cinque anni intensi che informarono tutte le opere dannunziane di quel periodo e lasciarono traccia anche nelle successive, e si svolse nella scenografia della Roma di fine secolo, poi a Francavilla e a Napoli. Rileggere le mille lettere che il poeta scrisse a Barbarella, come egli la chiamava, è entrare in una dimensione surriscaldata, ma per niente menzognera, dei sentimenti.

I due amanti - erano entrambi sposati - si amarono sinceramente, fino a quando l’egocentrismo e l’esuberanza di lui non ebbero la meglio, e, complice il suo tradimento con la contessa Maria Anguissola Gravina Cruyllas di Ramacca, non sfinirono i sentimenti di Barbara. Che non tornò dal marito, rimase sola e non riuscì a riportarsi alla precedente esistenza «borghese».

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