Matteo Failla
Il Teatro della Memoria, nellambito della quinta rassegna della Canzone dAutore, ospiterà oggi pomeriggio sul proprio palco la voce ed i monologhi di Walter Di Gemma; e il sottotitolo della rassegna, «Quando la Canzone diventa poesia e la Poesia diventa canzone», non poteva introdurre meglio il giovane cantautore, che proporrà nel suo spettacolo El mè Brel la trasposizione in milanese delle più belle canzoni del cantante Jacques Brel, uno tra i più influenti cantautori che abbia calcato le scene francesi nella seconda metà del secolo scorso.
Qual è il suo rapporto con la musica di Brel, a quando risale l«incontro» artistico?
«È stata una scoperta del tutto casuale afferma Di Gemma -, un giorno ho preso in mano un disco impolverato, peraltro mai aperto e mi sono messo ad ascoltarlo: era lultimo capolavoro di Jacques Brel. È stata una vera folgorazione: quella voce così particolare e quel suo modo di interpretare la canzone mi hanno spinto a conoscerlo meglio. La scoperta di Brel mi ha cambiato artisticamente. Egli aveva un modo tutto suo di vivere la musica e le parole (e dal vivo questa sua propensione si apprezzava anche da quel suo gesticolare sempre), e così quel pomeriggio del 2000 ho iniziato a pensare a come sfruttare questo casuale incontro. Ne sono venuti fuori due cd con le sue canzoni tradotte in milanese: un mio omaggio al grande artista francese ma anche il punto di partenza verso un nuovo modo di suonare e creare la mia musica».
Il dialetto ha un ruolo importante, forse primario, nelle sue canzoni.
«È vero, già da quando ero piccolo, mentre i miei amici ascoltavano musica più moderna, io ero affascinato dalle canzoni in dialetto milanese; mi sembravano così uniche e particolari, erano accompagnate da quel suono autentico, erano calde... Da allora ho sempre usato il dialetto milanese per i miei testi, ma appoggiandomi solo a quelle espressioni del dialetto che definisco alto, senza mai cadere nella volgarità dialettale tipica di chi cerca un facile sorriso».
Ma come si ricava una canzone in dialetto milanese da un testo francese?
«In primo luogo ho lavorato sui testi cercando di sentire ciò che lautore aveva da dire. Io non conosco bene il francese, e oltretutto nella musica di Brel ci sono inflessioni dialettali difficili da cogliere anche per chi conosce la lingua, ho quindi prima tradotto il testo in italiano, in alcune parti solo a senso, e poi ho trasformato tutto in dialetto milanese. Io preferisco definire il mio lavoro un riadattamento, non una vera traduzione: sarebbe stata più scarna».
Ma che tipo di pubblico assiste ad un concerto in milanese?
«Verrebbe da pensare a gente anziana e nostalgica del tempo che fu: e invece non è così. Ai miei concerti vedo anche giovani, forse curiosi, forse desiderosi di recuperare un po delle proprie origini».
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