È un momentaccio. Lo è sotto il profilo politico, economico, sociale. Da decenni il cerchio si stringe sempre e soltanto in un'unica direzione, sicché chi non ci sta e cerca di farsi largo è quasi «costretto» a correre sul filo se non pure a prevaricare. Andiamo a votare e risulta arduo capire chi abbia vinto veramente le elezioni. Come avrebbe potuto salvarsi proprio e soltanto il calcio? Le vicende di Tanzi e Cagnotti - scelte fior da fiore tra molte altre eccellenti - non sono fenomeni creati dal calcio, sono fenomeni che hanno sfruttato il calcio, inquinato ulteriormente il calcio, squassato il calcio. La legge del governo D'Alema che ha cancellato i diritti televisivi collettivi e quella spalma ammortamenti del governo Berlusconi non hanno certo aiutato il calcio sotto alcun profilo, finanziario, economico morale. Il doping amministrativo - passato indenne attraverso l'evasione di tasse e contributi non pagati e la falsificazione di fidejussioni, passaporti, plusvalenze e quant'altro - è stato enormemente più grave di quello (grave) farmacologico e di quello (spregevole) delle scommesse clandestine perché ha falsificato non singole partite o gruppi di partite ma interi campionati sul nascere, permettendo a squadre di club cui si sarebbe dovuto negare il titolo di giocare in categorie in cui hanno potuto fare concorrenza sleale ad avversari per amore o per forza più ligi alle regole o meno avventurosi.
Il calcio non è mai stato l'isola felice. Anche nel calcio i potenti sono sempre riusciti a procurarsi vantaggi. Sempre nel calcio è esistita l'ineliminabile sudditanza psicologica dell'arbitro che deve decidere in un attimo situazioni obiettivamente intricate e nel dubbio è umanamente portato a salvare la carriera. Però si sperava che, trattandosi comunque di un «gioco», ispirato all'«ideale sportivo», riuscisse a fare costantemente da freno al famelico istinto dei pescicani, inducendoli a non andare più in là di una captatio benevolentiae più o meno spericolata. Ripescando fior da fiore, l'Inter di papà Moratti e di Helenio Herrera godeva di un manager di grande caratura e grande stile, Italo Allodi, che trovava l'occasione di donare agli arbitri preziosi quadri di grandi firme e aveva introdotta la simpatica novità delle lotterie. Giampiero Boniperti aveva l'autorità e il prestigio per farsi valere, ma restava uno Sportivo all'antica. La «Triade» alla Juve ce l'ha messa l'Avvocato, e francamente stento a credere che un personaggio di quella classe potesse pensare che si sarebbe arrivati a tanto.
Non sono nato ieri. In quasi mezzo secolo di giornalismo molta puzza ho avvertita. Personalmente mi sono sempre difeso tenendomi alla larga senza turarmi il naso, di volta in volta indicando quel poco o tanto di fango che capivo di poter indicare senza farmi rovinare. Confesso però che soprattutto il risvolto arbitrale dell'immane sozzura, così come si è appalesato, mi ha letteralmente fulminato. Concordo invece, non solo perché ho sempre considerato Marcello un amico, con la decisione di confermare Lippi, che ha saputo creare in due anni un forte e saldo gruppo azzurro, a capo della spedizione mondiale. Farò solo il tifo perché arrivi seconda, la sua e nostra Italia, sicché il «gioco del calcio» eviti la definitiva vergogna di una mostruosa amnistia tombale. L'unica cosa che non ho mai perdonato a Marcello è stata la famosa risposta a Zeman: «Se non ti va il sistema, vattene». Voglio credere che per «sistema» Lippi non intendesse questo. E tuttavia dico: col cavolo! Maledetto il giorno in cui l'ultimo onesto, in qualunque campo, lasciasse campo libero ai malfattori. Se ne vadano loro! Preferibilmente a ramengo.
Onore a Moratti junior: mille volte viva ai «fessi» di tal fatta. E avviso ai naviganti blucerchiati: tenetevi stretto Garrone, legatelo al timone, e meno regate vincesse più sostenetelo con calore. Dev'esserci un limite a tutto, e da qualche parte bisogna pur cominciare a tracciare.
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