Un pezzo di storia di Genova, di Certosa sta crollando. Il chiostro più antico della chiesa di San Bartolomeo della Certosa, risalente al 1300, è letteralmente in rovina. Per comprenderne la rilevanza, oltre all'antichità basta sottolineare che i patrocinatori di buona parte del complesso furono i Doria, gli Spinola e i Di Negro.
Il chiostro è composto da due logge sovrapposte. Quella inferiore, in base ad alcune ricostruzioni in stile gotico, è formata da grandi archi a sesto acuto che poggiano su pilastri in mattoni, mentre il secondo ordine è costituito da una serie di archi che poggiano su colonnine marmoree classicheggianti. Oggi di quello che fu uno dei centri nevralgici per la nascita del quartiere, sono rimasti solo disegni e fotografie dei tempi che furono. Le celle dei monaci che si affacciavano sul chiostro sono andate distrutte e una parte del loggiato è stato adibito ad abitazioni private, fortemente deteriorate e con muri esterni attraversati da crepe, che ormai fanno da padrone su tutta la struttura. I monaci non ci sono più da un pezzo e il pozzo centrale è ricoperto da scritte. Ponteggi improvvisati e reti di metallo danno una parvenza di lavori in corso, ma in realtà sono solo stampelle che rallentano il morire del chiostro. E c'è perfino una targa, che suona quantomeno beffarda, con su scritto «Oasi del chiostro, giardini pubblici».
«Quando si entra nei giardini pubblici in cui è situato il chiostro si prova un senso di grande frustrazione - ha raccontato Andrea Brina, presidente della Società Operaia Cattolica - è davvero un peccato vedere una parte così significativa del quartiere in questo stato di abbandono. Un tempo, prima che la proprietà passasse dalla chiesa al Comune, era un luogo frequentato, da ragazzino mi ricordo perfino piccoli artigiani che lavoravano sotto i porticati, gli orti dei monaci sul tetto e i bambini che giocavano nel piazzale. Ora sembra un luogo per fantasmi: tubi arrugginiti, muri scrostati, porte sfondate e griglie in metallo che impediscono la visita alla parte inferiore. In un posto così, chi verrebbe a trascorre del tempo? È normale che ci sia il deserto».
Gli abitanti della zona, cullati dai ricordi di gioventù e mossi dalla voglia di provare a recuperare il chiostro, hanno anche aderito ad una iniziativa lanciata dal Fai, Fondo Ambiente Italiano. «Siamo perfettamente coscienti che ci siano problematiche più pesanti che affliggono il quartiere - ha continuato Brina - ma è anche vero che non si può lasciare decadere un chiostro così storicamente rilevante. Così abbiamo inviato molte lettere al Fai che aveva lanciato un censimento dal nome I luoghi del tuo cuore, luoghi italiani da non dimenticare. Non abbiamo potuto competere a livello nazionale, ma a Genova il chiostro in questione è stato il luogo più votato, battendo perfino l'Acquasola. Una piccola, ma simbolica vittoria».
Quello che fa male non è solo vedere crollare un pezzo del patrimonio storico e culturale genovese, ma anche l'impotenza nell'evitarlo. Il chiostro più recente, quello maggiore e di epoca medievale, rimasto di proprietà della chiesa, si trova in perfette condizioni, mostrandosi in tutta la sua bellezza, ed ospita perfino un campo da calcio per i ragazzi. «Era meglio che il chiostro dei monaci rimanesse di proprietà della chiesa, non passando al Comune. Se non intervengono le istituzioni, puntando ad un vero e proprio lavoro di recupero, non vedo speranza», ha concluso Brina.
«È un peccato vedere il chiostro minore ridotto così - ha ammesso Iole Murruni, presidente del Municipio Valpolcevera - nel programma triennale dei lavori pubblici è stata stanziata una cifra per intervenire su un primo lotto, non sarà esaustivo, ma dimostra la volontà di recuperare quel luogo simbolo. Abbiamo preso contatti anche con la facoltà di Architettura che sta lavorando ad un piano di recupero. Il sogno è quello di farlo tornare un luogo di socialità e lavoro, con manifestazioni e aperture di piccole attività.
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