Ghiacciaia e lippa, il senso di Guccini per le cose perdute

(...) Sarà la copertina, bellissima, che riproduce il pacchetto delle Nazionali Esportazione, quelle con una specie di caravella (ma, a parte le vele e le bandiere di bordo, alcuni degli elementi grafici della barca ricordano invece navi fenicie e greche) contornata da una sorta di aureola. Quel verdolino con cui avevamo imparato a familiarizzare grazie ai nostri nonni che ci mandavano dal tabaccaio, lasciandoci in eredità il resto per la liquerizia. Anzi, la «liquirizia» come veniva correttamente scritto sulle confezioni rigorosamente di provenienza abruzzese.
Soprattutto, quelle Nazionali Esportazione, versione già ricca, anche graficamente, rispetto alle Nazionali Senza Filtro che costituivano la dose ammessa dai panieri della contingenza o della scala mobile, non avevano sovrastrutture. Niente scritte sul «fumo che fa morire», niente «nuoce gravemente alla salute», nessuna di queste cose. Molto più semplicemente, la caravella con l'aureola.
Ecco, il resto di quel libretto è perfettamente in linea con la copertina. Semplicissimo e bellissimo, della bellezza che sa avere la semplicità elementare, qualcosa che vi consiglio con tutto il cuore. Perchè il Guccini autore del dizionarietto è al livello del miglior Guccini cantante, per intenderci non quello che è diventato (spesso suo malgrado) icona di una sinistra antica, ma quello che ha firmato Cyrano, Don Chisciotte, Vorrei, canzoni di rabbia e d'amore che lasciano i brividi.
Ma, per l'appunto, veniamo al dizionarietto. Dove l'autore di Pavana, sull'Appennino pistoiese, una di quelle terre di mezzo fra Toscana ed Emilia un po' bastarde e un po' selvagge, un po' come quelle di certe nostre valli, amatissima da Francesco, racconta la gioventù di tanti di noi, con ironia e dolcezza, attraverso tante cose che, per l'appunto, non ci sono più. E - prima ancora di andare a pescare i riferimenti liguri, fuggenti ma certamente preziosi per esercitare ancor meglio il vizio della nostra memoria - vale la pena di elencarle tutte, queste cose perdute, anche per farci venire la voglia di riviverle. Almeno sulle pagine di un libretto.
Si parte dalla «banana», nel senso della pettinatura amata da mamme e nonne, per arrivare al chewing-gum, che per tanti di noi è «una chiclets», dalla temutissima siringa, ancora ben lontana da essere monodose, ai cantastorie di piazza, a cui è dedicato un capitolo esilarante. Dal Flit, antenato del Ddt, alla maglia di lana, fino alle targhe, a cui è dedicato il più breve dei capitoli, telegrafico, cinque righe in tutto: «In certi negozi, dopo la guerra, si trovavano inchiodate al bancone delle targhette metalliche. Una di queste diceva: La persona civile non sputa in terra e non bestemmia». Poi, icastico, a capo: «Ma che gente c'era?».
E poi, altri racconti di cose perdute: il carbone, con descrizione tragicomica delle grigliate, peraltro attualissima ancor oggi, visto che tutti noi siamo circondati da personaggi che si spacciano come geni del barbecue, il lattaio, la carta moschicida e soprattutto i giochi. Si va dal chioccaballe alle palline e alle biglie, dalla fionda alla cerbottana, dai cariolini al «carro armato», dalla lippa al Meccano, fino a shangai e pulce, che Guccini tratta ingiustamente male, e ai coperchini che riservano la prima citazione genovese, visto che alle nostre latitudini sono conosciuti come «grette», i tappini a corona delle bibite, che oggi danno addirittura origine a veri e propri campionati di «ciclotappo». E posso testimoniare personalmente che, al di là della passione dei miei bimbi per questo gioco, ho visto altrimenti serissimi e seriosissimi manager sfidarsi all'ultimo lancio di grette alla festa dello Sport al Porto Antico, davanti al primo modulo dei Magazzini del Cotone.
Mica finita. La memoria di aneddoti e immagini di Guccini è infinita. E così ecco i taxi, quando erano ancora gialli, il postino che prima, almeno nel film, suonava sempre due volte e adesso è già tanto quando suona una volta sola, il bigliettaio (evocato spessissimo anche in tutte le discussioni di questi giorni sull'Amt in consiglio comunale nella Sala Rossa) e il dentifricio, ma rigorosamente quello nei tubetti metallici che spesso riuscivamo a spremere solo con artifici ingegneristici o, per i più fighettini, con uno spremitubetti che si comprava al mercato o sul catalogo Euronova o Postalmarket. E qui, a proposito, viene un dubbio. Perchè Guccini non dedica nemmeno una riga al catalogo Euronova o Postalmarket?
E poi, i balli, con il racconto esilarante delle imprese ai dancing anni Cinquanta; i liquori; i treni a vapore; le braghe corte; la naia, con un viaggio dalla visita dei tre giorni al congedo, passando per il Car e per il nonnismo; la ghiacciaia; il telefono, con un passaggio indispensabile e molto divertente sul duplex e sulle varie società telefoniche, fra le quali ovviamente c'era la Stipel, che secondo Guccini stava un po' colonialisticamente per Società telefonica interregionale Piemonte e Lombardia, ma comprendeva anche Liguria. E qui, finalmente, lo cogliamo in errore, perchè le linee liguri, secondo gli storici della telefonia, nell'era pre-Sip facevano capo alla Teti, la società telefonica Tirrena, con Liguria, Lazio, Toscana e Sardegna. Eppure, Stipel o Teti che fosse, ha tuttora un fascino difficilmente raggiungibile da tutte le compagnie che ti telefonano a casa a tutte le ore del giorno.


E, ancora, i pennini, la Topolino, il caffè d'orzo (ma in contrapposizione al «caffè caffè»), il prete per scaldare i letti, le sigarette e il cinema. Che, ovviamente, non ha nulla a che vedere con le multisala.
Non ho mai speso dieci euro meglio di quelli investiti per riscoprire queste cose perdute.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica