(...) Noi, questi racconti li portiamo avanti da sempre con i «Mal d'aula», ironici e leggeri del prof Franco Crosiglia, e abbiamo spesso applaudito al lavoro di Luca Borzani alla Fondazione per la cultura di Palazzo Ducale con i suoi cicli «Scrivere di scuola». Ma, proprio perchè Borzani è uno che lavora spesso (non sempre) molto bene e che stimo moltissimo - perchè è uno dei pochi che a Genova ha portato a casa risultati qualitativi e quantitativi, senza pensare che l'andamento economico del Ducale fosse un particolare inutile - gli rimprovero anche pubblicamente e duramente di non aver mai fatto quello che aveva promesso, invitando al Ducale Alessandro D'Avenia, il prof autore di Bianca come il latte, rossa come il sangue, splendido romanzo edito da Mondadori che consiglio a tutti e titolare del blog Prof 2.0, che racconta benissimo il mondo della scuola. D'Avenia, che credo sia anche cattolico (e quindi di una tradizione che a Genova pare avere meno diritto di parola rispetto a quelle laiche e soprattutto a quelle laiciste, rappresentate anche da preti contro), per parlare nella nostra città è dovuto andare alla residenza universitaria delle Peschiere, in Albaro, che però fa capo all'Opus Dei e non è pubblica. Curioso, no? Proprio D'Avenia, nelle scorse settimane, dalle colonne de La Stampa, ha lanciato un'idea calda, torrida, da lui battezzata «Rose e libri» che credo possa essere un punto di ri-partenza per raccontare la nostra scuola. Idea che parte da una frase semplicissima: «La verità bisogna chiederla ai poeti». Lì dentro, in quelle poche parole, c'è la vita.
E ci vorrebbero professori che raccontassero quella vita. D'Avenia lo fa citando un romanzo, Il mondo nuovo, dove alcuni bimbi vengono tenuti lontani dalle rose e dai libri, colpiti da allarmi e scariche elettriche ogni volta che si avvicinano, perchè natura e cultura sono ritenuti nemici dei consumi. E la battaglia del prof 2.0, che è anche la nostra, è quella di non trasformare la scuola in quella storia, per restituire ai ragazzi «rose e libri», la capacità di emozionarsi come Benigni con Dante e come i ragazzi al festival della scienza durante gli esperimenti, con un candore e uno stupore che è la caratteristica più bella dei piccoli.
E qui D'Avenia fa due proposte, che facciamo nostre. Che le famiglie pretendano dalla scuola non bei voti e promozioni facili, ma la capacità di porre domande e di dare un senso alle cose che circondano i ragazzi, «stimolati dalla gioia di scoprire, spesso atrofizzata nei maestri che ripetono da anni le stesse lezioni». E poi, proponendo una riforma «a costo zero»: «Perchè quest'anno ogni insegnante non cura cinque ragazzi della propria classe in modo particolare? Come? Dialoga con loro ogni volta tre mesi a tu per tu (sono tre colloqui da 15-20 minuti in un anno, cinque ore in un anno) per conoscerne progetti, passioni, difficoltà, punti forti e punti deboli. Raccoglie i dati e dopo essersi confrontato con gli altri colleghi, pure loro con cinque ragazzi a testa, durante consigli di classe non più burocratici, prova a mettere in atto strategie educative perchè i talenti di quei cinque ragazzi fioriscano». Sembra l'uovo di Colombo e, soprattutto, giustamente, non parte dalla distruzione della scuola classica italiana («che ha programmi che il resto del mondo si sogna, ma spesso asetticamente anteposti alle vite degli studenti»). Conclude D'Avenia: «O torniamo a prenderci cura delle persone o continueremo a cercare salvezza in riforme di superficie, necessarie sì, ma molto meno di rose e libri. Chi mi dà una mano?».
Ecco, credo che parlare delle persone, che parlare di rose e libri, sia il miglior modo di provare a costruire un mondo, un'Italia, una Liguria e una Genova migliori.
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