Se le ore di riscaldamento diventano metafora della burocrazia italiana

Mi rendo conto che forse non sarà il problema principale dell'Italia e di Genova. Mi rendo conto, in campagna elettorale si parla di tante altre cose, in qualche caso molto più importanti, in qualche caso anche meno: ad esempio, il dibattito sul «patto di desistenza», che però non si può chiamare «patto di desistenza», fra Rivoluzione Civile e coalizione di centrosinistra, a mio modesto parere, rientra tranquillamente nella categoria degli argomenti meno appassionanti. Così come la promessa - da parte di chi sta approfittando del Porcellum per mettere nelle liste parenti, affini, amici e paracadutati - di «rivedere immediatamente il Porcellum». Ma chi vogliono prendere in giro, se non l'hanno fatto in cinque anni?
Insomma, in campagna elettorale i temi sono moltissimi. Ma quello del benessere e del risparmio delle famiglie rischia di passare in secondo piano. Anche se, a mio parere, dovrebbe essere il principale, soprattutto in un momento storico in cui tutti si riempiono la bocca di soluzioni per la crisi molto varie e, soprattutto, molto eventuali. In fondo, è lo stesso discorso che abbiamo fatto nei mesi scorsi parlando del costo sociale enorme del quasi monopolio di un'unica insegna nella grande distribuzione in Liguria.
Ecco, la questione del riscaldamento nelle case funziona esattamente allo stesso modo.

L'altra sera, il Comune di Genova ha emesso (giustamente) un comunicato dal titolo: «Impianti di riscaldamento accesi a pieno regime per 14 ore al giorno». Testo: «In considerazione delle condizioni climatiche, con temperature al di sotto della media stagionale, da domani (venerdì per chi legge, ndr) e sino a mercoledì 23 gennaio compresi (...)

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