Giro d’affari di 10 miliardi Obiettivo è l’Est europeo

Goldoni (Unacoma): «Riflessione necessaria sul modo di esportare»

Macchine agricole miniaturizzate e intelligenti come insetti-robot che sciamano sulle colture per disinfestarle attirando lontano i parassiti con appositi ferormoni, cabine e telai di trattrici e mietitrebbie costruiti con polimeri e poliesteri d’origine vegetale che si biodegradano rapidamente, e operatrici alimentate da biocarburanti come l'etanolo o il gas prodotto dai liquami zootecnici. Uno scenario prossimo venturo che delinea la nuova frontiera della meccanizzazione agroindustriale, un settore in cui tradizionalmente l’industria italiana è al vertice, forte di oltre 3mila imprese e un volume di produzione secondo solo a quello degli Stati Uniti.
Un mercato che oggi ha perso vivacità e che attende soprattutto dall'innovazione un sostanziale impulso a nuove tipologie di mezzi meccanici e di applicazioni, non solo per le consuete attività agricole, di forestazione e cura del verde, ma anche per la produzione di biocombustibili e pure per il controllo e la tutela del territorio.
L’attuale giro d’affari, che supera abbondantemente i 10 miliardi, è sostenuto soprattutto dall’export: nel 2005 poco più di 3,6 miliardi, secondo i dati di Unacoma, l’unione nazionale dei costruttori di macchine agricole, in aumento del 2,3% sull'anno precedente. A segnare il passo sono sia il mercato nazionale che quello continentale. «Pesano - dice Massimo Goldoni, presidente di Unacoma - la riduzione dei redditi agricoli dovuta al forte calo dei prezzi dei cereali e delle produzioni ortofrutticole, e pure la modifica degli assetti produttivi causata dalla riforma della politica agricola comunitaria». Il venduto sul mercato italiano ha fatto segnare lo scorso anno 35mila trattrici e 356mila tonnellate di altri macchinari (operatrici, attrezzature e componenti), mentre la produzione dell'industria nazionale ha raggiunto le 928mila ton complessive, per un valore pari a 6,9 miliardi di euro, con un progresso dell’1,2% sul 2004. Le previsioni per quest’anno non sono positive, con il mercato nazionale che «dovrebbe accusare una flessione intorno al 3% per le trattrici e prossima al mezzo punto percentuale per le altre macchine».
Ecco allora i costruttori nostrani guardare da un lato ai Paesi dell’Europa Centro-orientale, dall’altro al Nordamerica, ove si prevede una ripresa delle vendite. E poi, volgersi anche e soprattutto al mercato cinese, la cui domanda di macchinari agricoli si annuncia enorme. Dalle motozappe e dalle attrezzature di prima meccanizzazione destinate ai piccoli agricoltori che le riforme in atto stanno sostenendo, alle trattrici e alle mietitrebbie candidate all'impiego nelle grandi aziende e nelle cooperative ampiamente diffuse nel Paese. E se oggi la sfida primaria della meccanizzazione agricola si riconosce nella coltura di biomasse e nella filiera dei biocarburanti, un altro importante new deal consiste nel progettare e mettere a punto mezzi ad hoc per le esigenze delle diverse agricolture del pianeta. Anche nella prospettiva del progressivo mutamento della geografia degli scambi commerciali, «che nei prossimi anni - afferma Goldoni - dovrà probabilmente riflettere una composizione dell’export ben diversa».


Oggi appena il 6% delle esportazioni di macchine italiane è destinato all'Africa, una percentuale analoga viene indirizzata all’Asia, mentre gli Usa assorbono il 14% del totale (che ammonta a 65.000 trattrici e 428mila tonnellate di altri macchinari, per un peso complessivo di 608.500 ton); la quota più ampia, il 61%, prende la strada dell’Europa.

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