RomaSi riparte con la legge sulle intercettazioni. E dal testo approvato dal Senato il 10 giugno 2010, non da quello poi «snaturato» dalla Commissione Giustizia di Montecitorio, per arrivare al più presto a un sì definitivo.
Silvio Berlusconi preme perché la maggioranza porti a termine il lavoro lasciato a metà dopo tre anni di discussioni e scontri dentro e fuori dal Parlamento. Soprattutto, dopo la divulgazione delle telefonate sul caso Ruby in cui lui stesso è stato intercettato.
La pubblicazione delle conversazioni sui giornali, ripete il premier, è una cosa «immonda, non degna di uno Stato libero». E ribadisce le accuse a Gianfranco Fini di aver chiuso un patto con i magistrati, proprio esautorando il ddl sulle intercettazioni alla Camera.
È proprio sul divieto di divulgare i testi intercettati, che lestate scorsa si è arrivati ad uno stop a Montecitorio, dove hanno pesato soprattutto le modifiche pretese dai finiani, in testa la presidente della Commissione Giulia Bongiorno, e le riserve di costituzionalità fatte trapelare dal Quirinale. Il testo, aveva detto Berlusconi, è stato «massacrato».
Così, Pdl e Lega puntano ora a far calendarizzare alla Camera la discussione sulle intercettazioni, ripartendo dal provvedimento approvato da Palazzo Madama. «Lì si era trovato il giusto equilibrio - spiega un dirigente del Pdl-, quello che andava incontro anche alle aspettative del Quirinale».
Il primo passo della maggioranza dovrebbe essere una nuova riunione della Consulta sulla Giustizia del Pdl, che ha affrontato per lultima volta la discussione sul provvedimento il 24 febbraio scorso. In questa settimana ci saranno degli incontri per stabilire la tabella di marcia e, probabilmente dopo Pasqua, la maggioranza farà il primo passo.
Il senatore Roberto Centaro era stato incaricato dalla Consulta Pdl di confrontare il testo di Palazzo Madama e quello uscito dalla Commissione Giustizia di Montecitorio per mettere in evidenza i punti critici: dalla questione dei «gravi indizi di colpevolezza» per autorizzare gli ascolti, al divieto di pubblicazione dei testi fino al tema delicato e attualissimo delle intercettazioni indirette dei parlamentari, alla luce della recente sentenza della Corte costituzionale.
Centaro ha finito da tempo il suo lavoro, ha inviato la relazione ai vertici della Consulta ed è pronto a riferire sulle molte differenze tra le due versioni del ddl. «A questo punto - spiega- servirà una decisione politica: se scegliere cioè la via maestra del ritorno al testo del Senato per licenziare immediatamente e definitivamente la legge o se intraprendere la strada mediana di correggere il testo della Camera e poi affrontare un nuovo passaggio a Palazzo Madama».
La scelta più probabile, assicurano nel Pdl, è quella appunto di ripartire dal ddl già approvato e non lasciare spazio a ulteriori modifiche, dando il via libera al ddl così comè.
Il Cavaliere, daltronde, anche nel vertice a palazzo Grazioli di giovedì scorso ha spronato i suoi, ricordando che la maggioranza in Parlamento cè e ed è coesa. Per lui, la versione della Camera proprio non serve a nulla, innanzitutto perché non eviterebbe proprio quelle fastidiose paginate di giornali sulle conversazione dei politici.
Su questo punto, però, cè da fare i conti non solo con lopposizione che si batte contro la «legge-bavaglio» e con i magistrati sul piede di guerra, ma anche con i giornalisti e i loro rappresentanti, già scesi in piazza per protestare.
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