La giustizia dell’Europa colpisce solo chi perde

La sentenza del tribunale militare di La Spezia sulla strage di Marzabotto, arrivata a 62 anni e passa dalla vicenda, ha più un interesse di attualità che storico. I fatti erano da tempo acclarati, nella loro terribile ferocia di guerra, e i principali responsabili erano già stati condannati: il comandante della divisione SS che compì l’eccidio, generale Max Simon, fu processato da un tribunale militare britannico nel 1947, a Padova, e condannato a morte; ma la sua pena fu commutata in ergastolo, poi ridotta a 21 anni, dei quali passò in carcere solo 4. Il comandante del battaglione corazzato che si distinse nella strage di civili indifesi, fu invece condannato all’ergastolo nel 1951 e nel 1954 dal tribunale militare di Bologna e passò trent’anni nel carcere militare di Gaeta, da dove fu liberato nel gennaio del 1985.
I dieci ergastoli comminati l’altro ieri sono forse ineccepibili sul piano giuridico e storiografico, ma sollevano due perplessità. La prima è che tutti i condannati sono contumaci, benché alcuni vivano tranquillamente in Germania: non sconteranno un giorno di prigione, né verseranno un solo euro dei cento milioni stabiliti dal tribunale per il risarcimento alle vittime. E colpisce che l’Unione Europea e il governo italiano, capaci di intervenire anche a sproposito sulla condanna a morte di Saddam Hussein, non riescano neanche a portare sul banco degli imputati i propri criminali di guerra: almeno formalmente, perché data la loro età difficilmente la nostra civiltà giuridica potrebbe imporre loro anche un solo giorno di prigione. Si assiste così allo spettacolo di un’Europa arrogante e pontificante sulla giustizia altrui, ma inetta a amministrare la propria.
Una seconda perplessità riguarda in particolare la giustizia italiana, così tenace nel perseguire quei criminali-militari ex nemici. Si sostiene che gli orrori della Seconda Guerra Mondiale non vanno dimenticati e che sentenze come questa servono a mantenere il ricordo e a ribadire la condanna per delitti efferati che andarono ben oltre la logica della guerra. È vero, ma tutto ciò avrebbe più senso se l’amnistia concessa da Togliatti nel 1946 non avesse cancellato con un colpo di spugna altri e non meno orribili fatti della guerra civile italiana, compiuti appena pochi anni prima da entrambe le parti. E se, anche prima dell’amnistia, la giustizia italiana non avesse chiuso entrambi gli occhi (oltre a essere bendata) per i crimini compiuti dai partigiani.
Va di moda, in proposito, citare Paolo Pansa, che ha fatto un ottimo lavoro di revisione storica e soprattutto è facilmente spendibile, in questo genere di polemica, per il suo essere di sinistra. Ma è sufficiente riportare un brano di Giorgio Pisanò, che di Pansa fu inascoltato precursore, per il suo essere di destra: «A Marzabotto - scrisse Pisanò in Sangue chiama sangue -, si rende omaggio alla memoria delle vittime della strage perpetrata dai tagliagole del 16° battaglione SS del maggiore Reder, ma non si accenna neppure lontanamente agli italiani (non tutti fascisti e presunti tali, ma anche innocenti colpevoli solo di non essere marxisti) assassinati prima dai tagliagole comunisti che agivano nella Brigata partigiana “Stella Rossa”, e che avevano funestato quei luoghi praticando sanguinosamente la “pulizia politica” in vista della rivoluzione proletaria oltre a fare di tutto per provocare la rappresaglia per poi dileguarsi, al primo accenno di attacco, abbandonando la popolazione inerme alla barbarie inferocita dei tedeschi. Non prima di aver assassinato il Comandante, non comunista, Mario Musolesi, detto “Lupo”, per liberarsene e impadronirsi della cassa del reparto».


È di nuovo l’Europa che esce male dalla sentenza di La Spezia, con la spada della giustizia che cade ancora - si fa per dire - sui nemici di ieri. Senza neanche avere mai preso in considerazione i crimini dei vincitori: dal selvaggio bombardamento di Dresda, che fece 250.000 vittime nel febbraio del 1945, in giù.
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