Howard Phillips Lovecraft lo definisce «la cosa più strana che ho incontrato nell'eternità». E se lo dice lui, che miriadi di cose strane incontrò nei suoi incubi a occhi chiusi o aperti per poi catalogarle in una colossale tassonomia mostruosa, c'è da credergli. E dunque c'è da rabbrividire al solo pensiero del Golem, cui «il solitario di Providence» con quelle parole si riferisce. Letterariamente, il Golem «nasce» nei Salmi (139,16): «I tuoi occhi videro la massa informe del mio corpo e nel tuo libro erano tutti scritti i giorni che mi erano destinati, quando nessuno d'essi era sorto ancora». Dunque, qualcosa che esiste prima di esistere. Dunque, Adamo prima che Dio gli infondesse l'anima. «Golem» è infatti derivazione di gelem, che in ebraico significa «materia grezza», o «embrione». E Norbert Wiener (1894-1964), il genio (ebreo) della cibernetica, considerava i robot «omologhi moderni» del Golem: anch'essi, in fondo, sono creature senz'anima.
Al mito del Golem e alla sua pervasività in ogni ambito dell'umana fantasia, dalla pittura al teatro, dal cinema ai fumetti e ai videogiochi, il Musée d'art et d'histoire du judaïsme di Parigi dedica una grande mostra che ne mette in luce la trasversalità e il fascino maligno (Rue du Temple, 75003, fino al 16 luglio). Perché se è vero che secondo la leggenda soltanto chi conosce la Qabbalah può essere in grado di fabbricare un Golem, è altrettanto vero che a costruire emuli del Golem si sono messi in tanti, vedi il Frankenstein di Mary Shelley o l'Eva futura di Villiers de l'Isle-Adam, per non parlare dell'incredibile Hulk, duro come la pietra e malleabile come l'argilla di cui parlano i rabbi... Le 136 opere esposte, insieme a installazioni, brani di pellicole eccetera, rappresentano un percorso nell'affabulazione prometeica dell'uomo che vuol farsi Dio salvo poi lasciarsi sfuggire di mano gli effetti collaterali delle sue invenzioni.
Pare sia accaduto persino al più sapiente dei sapienti praghesi, fra il XVI e il XVII secolo: Judah Loew. Con l'intento di proteggere gli ebrei del ghetto, perseguitati da ricorrenti attacchi, nel 1580 creò un essere dando fondo a tutte le sue conoscenze di natura esoterica e usando il fango della Moldava, aiutato dal genero Jizchak ben Simson e dal discepolo Jakob ben Chajim Sasson. Ma la sua creatura gli si rivoltò contro. A questa leggenda si rifece Gustav Meyrink per il romanzo Il Golem, del 1915, dove il mostro torna, come ogni 33 anni (33, gli anni di Cristo...
) a vagare per i vicoli del ghetto di Praga sotto le sembianze di un uomo dai tratti mongolici. E così appare anche nel film muto Il Golem - Come venne al mondo (1920), di Carl Boese e Paul Wegener. Il Golem, convitato di pietra che tormenta l'umanità, non essendo mai nato, forse non morirà mai.
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