La grande fuga dal vulcano

Come vivono 500mila persone in attesa della eruzione. Che rischia di essere peggio di Pompei

La grande fuga dal vulcano

«Questo non è un vulcano. €È la mamma di tutti i vulcani». Per capire le parole di Rossella, barista a Pozzuoli, bisogna tornare indietro di qualche chilometro. Di qualche cratere. È il percorso della grande area Flegrea uno dei «supervulcani» ad ampio diametro del mondo, decine di bocche conosciute, ma il numero è incalcolabile, perché metà della caldera è sepolta nel mare.

Siamo nella terra che fuma. Fumano i tombini, fuma la strada che scende ad Agnano, il paese costruito sopra un tappo vulcanico. Esala zolfo Pozzuoli, dove la terra si alza in modo impercettibile ogni mese, un odore che accompagna dalla Solfatara fino al porto, e che non lascia mai, solo quando si mettono i piedi dentro il treno della Cumana, la ferrovia con il nome di sibilla diretta verso il cuore di Napoli. Dallo spazio queste conche possono assomigliare ai crateri della luna. Ognuna, un'eruzione, l'ultima del 1538 a Monte Nuovo, nuovo perché fu creato quel giorno. Quando ci si cammina o vive dentro, sono auto che sfrecciano lungo crinali di antiche esplosioni, crateri diventati paesi o laghi, come l'Averno, antica porta dell'Ade, un'enorme area urbana di circa 500mila abitanti che va da Quarto al mare e che campa sulla mamma dei vulcani. Il figlio, il Vesuvio, svetta oltre Napoli e qui ne hanno più paura, perché, dicono, «chillo non sfoga, la solfatara sì, fuma sempre». Anche se, tecnicamente, i Campi Flegrei sono meno sorvegliabili. E più pericolosi. Non si sa se siano imparentati, Vesuvio e Campi Flegrei. La camera magmatica profonda si trova alla stessa distanza dalla superficie terrestre, circa 8 chilometri. Solo che il livello di allerta per il Vesuvio è verde, per i Campi Flegrei giallo, dunque più alto, dal 2012.

I rumori da stadio

In mezzo c'è Napoli. Nei 100 chilometri quadrati del vulcano più esteso d'Italia, a settembre per la prima volta la Regione Campania ha predisposto un piano di evacuazione di massa proprio poco prima che alcune scosse di terremoto allarmassero gli abitanti di Pozzuoli. E il prossimo anno si svolgerà la prova generale: una parte dei cittadini parteciperà a una simulazione di fuga organizzata dalla Protezione civile nazionale.

Sulla rivista di settore «Nature Communications» è stato pubblicato uno studio in cui si paventa un innalzamento del rischio eruzione. «La Caldera dei Campi Flegrei è più vicina all'eruzione di quanto si pensi», ha scritto l'University College di Londra presentando la ricerca. Tra Napoli e Pozzuoli sorgono gli uffici dove si possono cercare le prime risposte: l'Osservatorio Vesuviano opera nel quartiere Fuorigrotta, tra palazzi affastellati e binari di un'antica ferrovia invasi dall'erba che si addentrano oltre un cancello, nel cortile di una casa. Questa è già area rossa, zona vulcanica a tutti gli effetti: uno dei quartieri che vivono sul magma. Novantacinque persone tra sismologi, vulcanologi, geodeti, geochimici e informatici monitorano con centinaia di stazioni in terra e quattro in mare composizione chimica delle solfatare, deformazione delle rocce, frequenza e intensità dei sismi (l'allarme scatta con magnitudo 1,5 per i Campi Flegrei e 2 per il Vesuvio) tra interferenze inimmaginabili: si lavora per sottrazione, perché il rumore che le stazioni rivelano è spesso provocato dai fragori urbani di una zona che brulica di persone, traffico marittimo e terrestre, eventi sociali. Succede sul Vesuvio, dove la strada che conduce al cratere è trafficatissima. Succede vicino allo stadio San Paolo: quando gioca il Napoli (e soprattutto quando segnava Higuain) bisogna escludere il rumore che ne segue. Le stazioni per sorvegliare la mamma dei vulcani e il Vesuvio sono seminate in una delle zone più urbanizzate d'Italia: il 44% del territorio è edificato, secondo gli ultimi dati di Legambiente.

L'area più controllata del Paese è la più affollata. «Ci fu un periodo in cui avevamo segnalazioni anomale a Fuorigrotta. Andammo a verificare e ci scoprimmo che c'era il concerto del rapper Caparezza. Ebbe evidentemente molto successo», scherza, ma racconta la pura vita di tutti i giorni Francesca Bianco, fisica sismologa, la direttrice dell'Osservatorio. È la donna che ascolta il Vesuvio, responsabile, oltre che della ricerca, del monitoraggio e della sorveglianza delle due aree vulcaniche napoletane, ma anche di Ischia e dello Stromboli per gli aspetti sismici. Si è dedicata allo studio della terra dal giorno del terremoto dell'Irpinia. Da allora il sogno è «poter prevedere quando arrivano le scosse. Sogno irrealizzabile per la mia generazione». Ascolta perché è il rumore il primo indizio, base di uno studio che potrebbe aiutare a capire cosa si muove al di sotto dei Campi Flegrei, in particolare a valutarne l'eventuale camera magmatica superficiale. C'era nell'82-84, quando il terreno a Pozzuoli si alzò di due metri e la popolazione fu evacuata. Quello che si è scoperto a distanza di anni lavorando su quei dati è che la camera magmatica si trovava a quattro chilometri dalla superficie terrestre. E che era tutt'altro che silente: «Siamo convinti che in quell'occasione si sia trattato di un'eruzione abortita».

La signora dell'osservatorio

Il passaggio all'allerta gialla è dovuto non tanto alla sismicità - la media dei terremoti mensili è di circa 30-40 scosse al mese, negli anni '82-'84 si arrivava al migliaio - quanto soprattutto alla composizione chimica delle fumarole. L'anomalia dei parametri geochimici ha suggerito di passare al livello di attenzione. Una ricerca recente indica una sorgente sotto Pozzuoli «intorno ai 3-4 chilometri, proprio dove noi avevamo individuato la sorgente studiando la crisi dell'82-84». Rispetto agli anni Ottanta l'innalzamento del terreno è molto inferiore: 50 centimetri dal 2005, pochi rispetto ai due metri dell'84 e ai sette dell'eruzione del 1538.

Tutti pensano sempre al Vesuvio, ma più misteriosa è la caldera flegrea, con le sue infinite bocche. Per sviscerare i comportamenti dei vulcani di Napoli, a Fuorigrotta si studiano le variazioni delle onde sismiche in presenza di possibili ostacoli sotterranei. Oppure, se non ci sono sismi a sufficienza, si ricorre a sistemi di attivazione artificiali come gli scoppi: perforazioni e tritolo. Ai Campi Flegrei il numero dei terremoti non può fornire indicazioni. Non restano che gli scoppi. La direttrice mostra una cartina. «Ora guardi come è combinata questa zona dal punto di vista urbanistico». Sono abitati persino i crateri, come il caso di Agnano, dove sono appena state riaperte le terme. L'equivalente di un petardo sopra un formicaio. Non rimane che il mare. Il grande vulcano flegreo si estende in tutto il golfo di Pozzuoli. Si eseguono non scoppi, ma percussioni soniche. Ogni volta, però, a bordo deve essere presente l'esperto di cetacei.

Il Vesuvio non ha in questo momento una camera magmatica superficiale. La certezza è data da una serie di «tomografie molto accurate». Le deformazioni del cratere, e le molte scosse di bassissima intensità, sono «del tutto scollegate da eventuali dinamiche magmatiche», perché indicano piuttosto una «subsidenza, un lieve abbassamento», come se il Vesuvio abbia passato questi ultimi settantaquattro anni, dall'ultima eruzione del 1944, a compattarsi. «Un sistema in assoluta calma», nonostante i frastuoni registrati, estranei al vulcano, come il passaggio dei pullman carichi di turisti. «Capitava che la gente ci chiamasse dal cratere e ci dicesse: C'è il terremoto. Lo vediamo sul vostro sito. Non erano terremoti ma torpedoni».

I segni di Serapide

«Tra Fuorigrotta e Pozzuoli si convive con la paura», assicura Rossella che serve caffè in piazza, ma è una paura legata al fatalismo, all'ironia, ai ricordi di quegli anni Ottanta quando la terra si alzava e sembrava non dovesse fermarsi più, quando ci fu un'evacuazione forzata con parenti lontani che si trovavano ad abitare nella stessa casa, e tutto, poi, si risolse con niente. A Pozzuoli, antico porto romano verso l'Oriente, per capire se il suolo sale o scende si guarda il mercato tempio di Serapide, il dio un po' Osiride, un po' Zeus e un po' Ade: se la base delle colonne è sommersa dall'acqua si va giù, se è asciutta l'opposto. È l'odore di zolfo che conduce alla Solfatara, le fauci fumanti che fino a un anno fa erano state l'attrattiva dei turisti. Qui hanno giocato generazioni di puteolani (così si chiamano gli abitanti) e ci recitò Totò, ma da quando è morta una famiglia, un bambino, mamma e papà, i cancelli sono chiusi.

Accanto ai binari sotto Agnano, Michele, dipendente della ferrovia Cumana, sta per iniziare a contare le automobili in transito. «L'azienda vuole fare una stima per chiudere il passaggio a livello». Michele è di Bacoli, paese in area rossa, e ragiona sul nuovo piano di fuga predisposto dalla Regione. «Al paese nostro ci sono solo due strade che scendono ma una è sempre chiusa. Vi immaginate 27mila persone che devono scappare per un'unica strada contemporaneamente? A Napoli, anche se l'evacuazione si dovesse fare per finta, succederebbe l'inferno». Allunga lo sguardo al golfo, il profilo di Ischia che emerge nella foschia. «E comunque teniamo il mare e male che vada lì ci buttiamo». La paura convive con l'arte della leggerezza. «C'è più consapevolezza», spiega la direttrice dell'Osservatorio.

Ma sono poi davvero pericolosi questi Campi Flegrei?, stuzzica qualcuno in paese. «Se ci costruiscono casa anche gli scienziati stiamo tranquilli». Per gli antichi romani era un paradiso. E ci gioca il Napoli. E ci cantano i rapper.

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