da Roma
«Da segno del potere della benevolenza del sovrano, la grazia è diventata nel sistema repubblicano un «eccezionale strumento destinato a soddisfare esigenze di natura umanitaria»: se il capo dello Stato decide di concederla, il ministro della Giustizia non può bloccarla rifiutandosi di controfirmarla perché violerebbe il principio della separazione dei poteri. Al massimo «può soltanto rendere note al capo dello Stato le ragioni di legittimità o di merito che, a suo parere, si oppongono alla concessione del provvedimento». La Corte Costituzionale spiega così perché ha dato ragione al Carlo Azeglio Ciampi nel conflitto di attribuzioni sollevato dopo il «no» di Castelli alla concessione della grazia ad Ovidio Bompressi, lex esponente di Lotta Continua condannato con Adriano Sofri a 22 anni di carcere per lomicidio del commissario di polizia Luigi Calabresi. Ai giudici costituzionali sono bastate 18 pagine (sentenza numero 200 presidente Annibale Marini, redattore Alfonso Quaranta) per illustrare come hanno sciolto a favore del presidente della Repubblica il nodo se il potere di grazia fosse esclusivo del capo dello Stato, o duale, da concedere cioè in accordo con il Guardasigilli. Ciampi si era rivolto alla Consulta dopo il rifiuto di Castelli, il 24 novembre del 2004, di inviare al Quirinale il decreto per latto di clemenza nei confronti di Bompressi.
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