Golf

Il green diventa stadio al K Club di Dublino

Il green diventa stadio al K Club di Dublino

Anche la famosa  "casalinga di Voghera", una volta nella vita, ha assistito dal vivo a un incontro di calcio. In moltissimi, invece, vanno regolarmente allo stadio, magari al Meazza per Milan-Inter o all’Olimpico per Lazio-Roma. In molti, ahimè, ci trascorrono tutte le domeniche. I golfisti, purtroppo, assaporano il clima da derby o da Champions League solamente ogni due anni. L’atmosfera della Ryder Cup è ancora più infuocata e ogni squadra si attrezza per organizzare la scenografia perfetta. Il risultato è senza dubbio superiore a quello dei “Boys” o delle migliori curve, anche perché l’aspettativa è spasmodica e cresce durante i due anni d’attesa. Quattro, se contiamo quanto deve attendere un europeo o un americano che desideri vederla senza attraversare l’Oceano. Alla Ryder Cup il clima che si respira è più forte di un derby, di un mondiale, di un’olimpiade. Innanzitutto perché un campo di golf è l’ultimo posto dove anche il più ignaro di gare e tornei si aspetterebbe di sentire grida, fischi, urla di incitamento e sfottò a più non posso. Non solo, anche i cori si sprecano.

Accuratamente orchestrati, le due ali di folla si rimbalzano i testi composti su musiche di grande fama. Ecco allora incitare Colin Montgomerie sulle note di “La donna è mobile”, oppure Paul McGinley su quelle di “Guantanamera”. Contravvenendo a quelle che sono le regole arcinote del perfetto spettatore di un torneo di golf, i tifosi delle due squadre in campo si scatenano rimbalzandosi i vari “U-S-A-, U-S-A” e “Eu-Ro-Pe”. Sono ancora nella memoria di chi era a Valderrama nel 1997 i “Miao! Miao!” ripetuti all’indirizzo di Tiger Woods quando fu battuto da Costantino Rocca. Ma alla Ryder Cup il vero tifoso studia accuratamente anche l’abbigliamento. Guai a non far capire che si è americani, soprattutto se ci si trova in terra straniera, per esempio al K Club di Dublino dove si è appena chiusa l’ultima edizione. Il più anonimo si conficca le bandierine di carta nel cappellino e procede impavido a testa alta, nonostante la pioggia abbia ammosciato persino le astine (anche gli ex presidenti Bill Clinton e George Bush hanno tentato di agitare le bandierine, forse con poca convinzione).

Poco importa, il vero fan non si spaventa certo per quattro gocce, o qualcuna in più, che han rischiato di far sospendere la gara. Acqua per acqua, c’è stato anche chi, già bagnato fradicio, con la scusa di festeggiare ha pensato bene di togliersi gli abiti e gettarsi nel lago a fianco del green della 18. Con i giocatori ancora in campo, ovviamente. Gli altri fan, con l’alibi di coprirsi, ostentavano la bandiera sulle spalle come Miss Italia la sua fascia, pronti a sventolarla al primo putt imbucato. Purtroppo le bandiere agitate al vento d’Irlanda sono state poche, anzi pochissime, perché i giocatori a stelle e strisce sono usciti massacrati dall’incontro con gli europei. E questo perché, ormai, la loro fama è molto superiore al cuore. Il cuore porta i tifosi a sostenere i loro beniamini con abbigliamenti spesso eccessivi, ma pur sempre folcloristici; accade che gli americani attraversano l’Oceano per sostenere la squadra con valigie contenenti abiti a stelle e strisce di ogni foggia possibile. Kitsch? Assolutamente no, fa tutto parte del gioco, della gara e della passione. Del tifo e del cuore, appunto.

La Ryder Cup è una gara che si gioca con il cuore, più che con la tecnica e con l’allenamento fisico. Il cuore porta all’amore per la propria bandiera, e l’Europa unisce in modo incredibile i componenti delle varie nazioni, mentre gli americani sono storicamente più individualisti. Il cuore porta i campioni a trovare il coraggio e la forza di compiere colpi e soluzioni altrimenti impensabili, a sostenere i compagni di doppio più che in qualsiasi altro torneo. Il cuore fa cambiare il carattere di alcuni giocatori. Uno su tutti: Colin Montgomerie, che oltre a non aver mai perso un incontro di singolo sugli otto disputati, ha scritto anche pagine leggendarie. Proprio nell’edizione del 2004, stravinta dagli Europei in terra americana, l’anima della squadra, il trascinatore (con Sergio Garcia) è stato proprio Monty, lo scozzese musone e antipatico in campo, lo stesso giocatore che fa fermare il gioco se una farfalla sbatte le ali a due buche di distanza, che per ringraziare il pubblico alza lievemente l’angolo sinistro della bocca e nulla più.

Ebbene, lui è l’esemplificazione dell’uomo guida: in Ryder ride a cuore aperto, ritrova improvvisamente la forma dopo un periodo di “oscurantismo”, procede incurante della gran massa di pubblico in continuo movimento, sostiene i compagni di squadra come fossero fratelli. E se non è cuore questo... Per non parlare di Sergio Garcia, ventiseienne già alla sua quarta Ryder, che trova il modo di dar sfogo allo spirito ispanico con una carica contagiosa su tutti i compagni, algidi scandinavi compresi. Tre i giorni di gioco, ma la settimana della Ryder Cup - che inizia con l’arrivo delle due squadre il lunedì e con i giri di prova dei tre giorni successivi - è carica di una febbre che sale sempre più con l’avvicinarsi della fatidica partenza del venerdì mattina alle 8. L’aperitivo di ciò che accadrà in gara si ha all’inaugurazione ufficiale quando i giocatori, guidati dai rispettivi capitani, sfilano rigorosamente in divisa con le mogli o fidanzate al fianco.

Solitamente nei tornei le mogli/fidanzate/amanti vengono relegate in un cono d’ombra dal quale escono timidamente solo nel caso vinca il loro amato. Ebbene no. Alla Ryder Cup le mogli/fidanzate (qui di amanti non se ne parla) hanno un ruolo di primo piano. Le mogli dei capitani collaborano nella scelta delle divise o forniscono indicazioni, decidono quali abiti bisogna indossare ogni giorno e così, tutte uguali, le signore seguono i loro amati fino in campo, ma tenendosi rigorosamente vicino alle corde. Guai a disturbare i loro eroi! Salvo poi balzargli al collo alla conquista di un punto. Sventolano bandiere anche loro, urlano e incitano, fotografate più di Naomi Campbell durante una sfilata, finalmente alla luce del sole. Difficile distinguerle, a parte qualche raro caso. Come i piloti di automobilismo scelgono le modelle o i calciatori le veline, i golfisti hanno una spiccata predilezione per le “ragazze della porta accanto”. Per gli americani sono le Barbie, bionde compagne di college con le quali hanno trascorso una vita, fatto almeno due figli, che curano amorevolmente la villa con giardino, il cane e altri animali dello zoo familiare. Per gli europei il discorso è differente perché sono più seguiti dalle loro compagne (siano esse di una vita o transitorie).

Sarà perché i giocatori nell’European Tour sono più avvicinabili dalle fan che negli States? In ogni caso, tutte brave ragazze che - come prima cosa - sanno stare al loro posto, uscendo allo scoperto solo quando non c’è il rischio di oscurare i loro uomini. Perfette le coreografie che le riguardavano nell’ultima Ryder, anche se la protagonista principale non si è mai vista. Heather Clarke, moglie dell’idolo locale Darren, è mancata sei settimane prima della sfida, il suo spirito ha aleggiato sulla gara e la vittoria europea è stata dedicata alla sua memoria. Perché al suo amatissimo marito non pesasse troppo la sua assenza, per la prima volta, è stato abolito l’ingresso dei giocatori accompagnati. Le squadre si sono presentate sul palco già sedute e all’uscita le compagne hanno raggiunto i team in modo volutamente disordinato.

La Ryder è anche questo: rispetto, ma soprattutto e ancora una volta, Cuore.

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