La parata sottotono di Putin con un carro armato (d’epoca) e il solito copione da vittima

Una cerimonia lampo. Niente aerei, i mezzi tutti al fronte. Le accuse all’Occidente: "Contro di noi una vera guerra"

La parata sottotono di Putin con un carro armato (d’epoca) e il solito copione da vittima
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L’immagine simbolo è il carro armato, residuato della Seconda Guerra Mondiale, che sfila solitario in mezzo alla piazza Rossa. Un mezzo da museo che da simbolo per la celebrazione della giornata della vittoria sul nazismo, diventa manifesto del momento storico che sta vivendo la Russia. Triste, sola, abbandonata. E nel mezzo di una guerra che stando ai piani di Mosca doveva essere rapida e quasi indolore e che invece si trascina da oltre un anno, con un esito mai così in bilico.

Altro che i 200 mezzi blindati che inorgoglivano lo Zar e il suo regime nella sfilata di due anni fa con gli aerei a solcare il cielo e dimostrare la potenza dell’armata. Niente a che vedere con i leader mondiali che affollavano la piazza Rossa negli anni scorsi per partecipare alla festa di quello che, nonostante tutto, era considerato un partner. Ieri a Mosca sono arrivati soltanto i leader di sette Paesi Kazakistan, Uzbekistan, Armenia, Turkmenistan, Kirghizistan, Tagikistan e Bielorussia (con Lukashenko poi costretto a rientrare in fretta e furia in patria a causa di un malore), non esattamente potenze mondiali la cui amicizia possa essere sbandierata con orgoglio. Non solo, a Putin è arrivato un solo messaggio degno di nota, firmato dal nordcoreano Kim Jong-un. «La Russia prevarrà nella sua lotta contro gli imperialisti. Inviamo calorosi auguri a lei, all’esercito russo e al popolo russo per la vostra santa lotta per preservare la pace nel mondo», ha scritto Kim nel suo messaggio. Un vero e proprio delirio, non dissimile da quello che Putin ha rivolto alla piazza dal palco.

Solo 10 minuti di parole, in una cerimonia durata in tutto 47 minuti. La più breve di sempre, in un clima di paura dopo l’attacco con droni della settimana scorsa, ammesso che sia stato organizzato realmente da qualcuno diverso dagli stessi russi, ucraino o altro che sia. In ogni caso, misure di sicurezza rigidissime, cecchini sui tetti e batterie di razzi anti-droni e anti-missili schierate. Con un copione scritto dallo Zar più che prevedibile, infarcito dei soliti ingredienti: vittimismo, accuse, difese, tesi strampalate e ammissioni parziali.

Come quando ammette che «il futuro della sovranità russa dipende dai partecipanti all’operazione militare speciale». Poi la solita recita dell’accerchiamento e dell’obbligo di difendersi dalle minacce esterne. «Contro di noi è stata intrapresa una guerra reale. Le élite globaliste occidentali colpiscono le persone e dividono la società, provocano conflitti e sconvolgimenti sanguinosi, seminano russofobia, nazionalismo aggressivo, distruggono i valori tradizionali della famiglia», ha detto Putin, aggiungendo che «sembra che abbiano dimenticato a cosa hanno portato le folli pretese dei nazisti, hanno dimenticato chi ha sconfitto questo mostruoso male, sacrificando la propria vita». Dimenticando, o fingendo di farlo, che agli occhi del mondo oggi il nazista che invade i Paesi confinanti e scatena guerra per puro interesse personale è lui, con discorsi in cui a farla da padrone è quella propaganda che ricalca in buona parte quella dei gerarchi del Terzo Reich.
Riguardo quella che continua a chiamare operazione militare speciale, ma che si lascia scappare essere una guerra, il nazionalismo impera con lo Zar che si dice «orgoglioso di tutti coloro che combattono in prima linea, che resistono al fronte sotto il fuoco, che salvano i feriti. Non c’è niente di più importante ora del vostro lavoro. La sicurezza del Paese poggia su di voi». Una guerra, naturalmente, che non ha scatenato la Russia ma, a suo dire, responsabilità dell’Ucraina, «diventata ostaggio nelle mani dell’Occidente».

Intanto, mentre a Kiev si fa la coda per scattarsi un selfie davanti a una gigantografia di Putin in manette di fronte ai giudici del tribunale internazionale, si conclude il discorso più breve, della cerimonia più breve e blindata di

sempre. Tra il dissenso interno e le lotte tra generali, la grande paura è quella della controffensiva ucraina, pronta a partire. E che sì, potrebbe cambiare davvero le sorti del conflitto e il futuro della Russia. E di Putin.

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