Oh lettore, dove vai se il Mascheroni non ce l’hai? Io, che non vedo mai nessuno, mi auguro che non vi troviate mai in un salotto letterario, né che ne facciate parte, e tuttavia, se per sventura doveste capitarvi, finalmente c’è uno strumento utile per chiunque non voglia sfigurare e ci tenga a mostrarsi informato, vale a dire up to date (benché l’ultima tendenza, specie in televisione, è dire «up to date, come dicono le persone colte», per sembrare ancora più colti e ancora più snob fingendo di essere il contrario).
A scrivere il Mascheroni ci ha pensato infatti Luigi Mascheroni (per questo sarà presto chiamato semplicemente il Mascheroni, come il Ferroni, il Morandini, il Merenghetti) il quale, ispirandosi a Gustave Flaubert, pubblica questo Manuale della cultura italiana (excelsior 1881, pagg. 180, euro 14,50, da domani nelle librerie) e non lasciatevi ingannare dal titolo. Infatti il Mascheroni, concepito in forma di dizionario, non è solo un prontuario di conversazione, ma anche la radiografia dei cliché in un Paese in cui nessuno sa più niente ma tutti fingono di sapere tutto, a cominciare da quanto leggete sulle terze pagine dei giornali, sempre che non siate voi a scriverle. Il Mascheroni ha quindi un doppio uso: manuale di conversazione e antidoto alle banalità della conversazione stessa, dipende da quale parte decidete di prenderlo.
Se per esempio vi parlano di amanti, tenetevi il Mascheroni a portata di mano e citate Calvino e la Giorgi, sull’avant-pop siate molto vaghi, perché «nessuno ha mai capito cos’è» (come il postmoderno, del resto), se si parla di Antonio D’Orrico definitelo «l’avatar di Philip Roth», se dovete citare un autore citate Oscar Wilde, pur inflazionato fa sempre scena, e se non è Oscar Wilde per precauzione precisate «cito a memoria», una frase «che solleva da molte responsabilità». Utilissimo a cene, vernissage, presentazioni, inaugurazioni, Biennali, incontri ravvicinati con intellettuali e signore perbene, forse perfino a letto, non si sa mai: dovesse capitare un appuntamento galante con Guia Soncini, Daria Galateria o Barbara Palombelli, meglio tenere il Mascheroni nei pressi del comodino. Se sentite discutere di «beat generation» tenete presente che «la prima a parlarne è stata Fernanda Pivano, oggi si può tranquillamente dimenticare», mentre Dario Bellezza è un poeta da evitare, meglio citare Andrea Zanzotto, e ovviamente è opportuno evitare di parlare di Silvio Berlusconi, «almeno la prima sera». Al limite, suggerisce il Mascheroni, non è sconveniente dire qualcosa su Beppe Grillo, «è un comico e non un politico, ma su molte cose ha ragione» va bene per ogni occasione.
Su Italo Calvino nel Mascheroni avete ben due frasi readymade da utilizzare: «Non esistono più intellettuali come lui, purtroppo» o «Non esistono più intellettuali come lui, per fortuna», e comunque citate Calvino rigorosamente in opposizione a Pier Paolo Pasolini (a seconda che siate a pranzo o a cena o a letto con un calviniano o un pasoliniano, in Italia sono due fazioni contrapposte quanto i Puntalarga e i Puntastretta di Jonathan Swift, quanto Il primo amore e Lipperatura tra i blog letterari), e inoltre le stesse due opzioni valgono anche per Pier Paolo Pasolini, del quale, volendo si può aggiungere che: «ne sentiamo ogni anno di più la mancanza». Se vi capita di incontrare un piccolo editore (è probabile, visto che ci sono più editori che lettori) e vi dice «vogliamo essere una piccola Adelphi» siate certi che chiuderà tra due anni, evitate di perderci tempo, ammenoché non vi parlino della minimum fax, e allora potete buttare lì un: «Però, quelli di minimum fax sono stati bravissimi» o «Però, quelli di minimum fax sono stati furbissimi». Nel caso in cui invece si parli dell’Adelphi «citare, schifati, l’aneddoto del parvenu che compra gli Adelphi al metro per arredare la libreria di casa», e riguardo a Roberto Calasso potete affermare senza timore: «Come editore lo apprezzo, come uomo non lo conosco», anche perché nessuno lo conosce veramente, credo sia un ologramma come Alberto Arbasino o le ragazze di Santoro.
Il bello dell’avere il Mascheroni in tasca è che potete destreggiarvi sia a destra che a sinistra e non incorrere in biasimevoli gaffe, quindi non di rado vi dà due o tre scelte, da utilizzare a seconda dei testi e dei contesti, perfino se la conversazione dovesse cadere su argomenti frivoli o noiosi tipo Giovanni Minoli («La dimostrazione di come si possa fare della buona Storia in televisione», oppure «Ieri sera mi sono addormentato sul divano vedendo La Storia siamo noi»), perché alla fine il luogo comune della conversazione culturale si regge su questo principio: tutto va bene, basta che quello che si dice si sia sentito dire. Non dite mai di aver letto un best seller, al massimo lo avete solo sfogliato, auspicabilmente «solo per lavoro» (così come, viceversa, qualsiasi classico lo avete già letto o, nel caso in cui ve lo trovino in mano, lo state rileggendo), e se proprio desiderate leggerlo, consiglia il Mascheroni, aspettate che non sia più in classifica.
Per denigrare una scrittrice prendete a esempio Liala, si presta sempre, e il Mascheroni propone diverse varianti («Piccole Liala crescono», «Una Liala in sedicesimo», «Una scrittura che fa molto Liala», «Un tipico lettore di Liala»). La parola «significato», si sa, è sempre da opporre a «significante», di «onestà intellettuale» riempitevene la bocca, tanto non è in gioco la vostra, e alle opinioni non rinunciate mai, «su ogni cosa averne una, poi si vedrà». Tante volte dovessero darvi dell’opportunista, cosa che di questi tempi capita spesso, non fatevi fregare, prendete in mano il Mascheroni, andate alla voce «Opportunista» e rispondete «Perché no?». Non spaventatevi neppure se doveste incappare dal vivo in un bibliofilo tipo Mughini o Dell’Utri o Sgarbi e seguite il suggerimento del Mascheroni liquidandolo con la voce «Bibliofili»: «Io i libri non li colleziono, li leggo».
Volendo, a pensarci, il Mascheroni è prezioso anche per chi voglia intraprendere una carriera giornalistica e aspiri a scrivere sulle terze pagine italiane, basta consultarlo e copiarlo all’occorrenza, nessuno se ne accorgerà.
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