Haiti, un centinaio di italiani mancano ancora all’appello

I connazionali sull’isola sono 191. La Farnesina ha notizie di metà di loro Si cerca negli hotel crollati. Tra i superstiti, caccia a viveri e schede telefoniche

Haiti, un centinaio di italiani mancano ancora all’appello

«Un paio di italiani che lavorano alle Nazioni Unite sono scampati alla morte per miracolo, ma un altro connazionale dell’Onu è disperso», racconta al Giornale Tito Ippolito. La sua voce giunge forte e chiara via Skype, l’unico sistema per comunicare con Les Cayes, nel lembo occidentale di Haiti. Agronomo napoletano, 36 anni, lavora per l’Avsi, l’Ong italiana in prima linea. Ippolito è uno dei 191 italiani di Haiti che hanno provato sulla loro pelle il grande terremoto. Il ministro degli Esteri Franco Frattini ha riferito a fine giornata che sono un centinaio gli italiani che mancano ancora all’appello. Ora si teme anche per la sorte di due di loro. «La situazione è devastante e il dolore di tutti è inimmaginabile - spiega Frattini-. Siamo angosciati perché ci sono forse 100 mila morti e ci auguriamo che i circa 100 italiani che mancano all’appello stiano bene e che siano trovati». Nella serata di ieri l’Unità di crisi della Farnesina era riuscita a rintracciare 120 italiani. Ma il passare delle ore e la mancanza di contatti non fa altro che far pensare al peggio.
Ippolito, che chiede di non pubblicare i nomi dei due connazionali dell’Onu sopravissuti, spiega cosa è successo: «La donna era per caso all’esterno del quartier generale delle Nazioni Unite e ha visto crollare tutto. L’uomo, invece, lavora nel settore comunicazioni. Al momento del terremoto si trovava all’interno ed è scampato alla morte per miracolo. È rimasto incolume vicino a un muro che non ha ceduto, mentre tutto il resto veniva giù». Anche Roberto e Marco Dormino, padre e figlio, viterbesi, si sono salvati dall’inferno di Haiti, ma non vogliono rimpatriare per aiutare la popolazione. Roberto, 61 anni, è il responsabile della logistica per la missione Onu nell’isola. Marco, 34 anni, è fotoreporter delle Nazioni Unite. «Ho parlato con mio padre mercoledì sera - dice l’altro figlio, Davide, in Italia - e mi ha detto che non ha intenzione di tornare. Resterà a Port-au-Prince per organizzare l’arrivo degli aiuti. Con mio fratello si è salvato perché erano all’aperto».
Un altro miracolato è il console onorario italiano, Giovanni de Matteis. La sua casa è crollata, ma si è salvato, anche se poi ha perso i contatti con la Farnesina. «L’incognita è su quello che accadrà - sottolinea Ippolito - La paura di una recrudescenza di atti di violenza ce l’abbiamo. Un grande super mercato della capitale è stato saccheggiato». Il giorno dopo il terremoto gli italiani si preparano all’emergenza. «Stiamo facendo scorte di carburante, acqua, cibo e schede telefoniche, perché il peggio potrebbe ancora arrivare».
Dei 191 italiani presenti ad Haiti il giorno del terremoto, la gran parte si trovava a Port-au-Prince, la capitale, e Petionville, una località vicina. Una manciata di connazionali vive in altri centri come Les Cayes, Cap Haitien, Sant Louise Port de Pais più distanti dall’epicentro. Alcuni sono segnalati a Croix des Bouquets e Jacmel. In gran parte sono religiosi, volontari, funzionari delle organizzazioni internazionali e dipendenti di società italiane. I residenti che hanno sposato un’haitiana, o messo in piedi attività, sono una dozzina. L’avvocato dell’Onu, Cristina Iampieri, ha chiamato da Haiti la sorella Daniela in provincia di Teramo. «È barricata in casa con la sua famiglia. Mancano cibo e beni di prima necessità», racconta la sua familiare.
Suor Anna e Olivia, due missionarie salesiane di origini friulane, hanno fatto sapere a Udine che «stanno bene». All’Apocalisse della natura sono sopravvissute anche Caterina, di 80 anni e Lucrezia, due volontarie milanesi veterane di Haiti. In una zona periferica della capitale ha retto il dispensario dei Camilliani. Tre religiosi italiani si fanno in quattro per soccorrere la popolazione. Invece non si hanno notizie di suor Bertilla Sasso, una religiosa veneta che vive ad Haiti da mezzo secolo. I familiari non sono riusciti a contattare la religiosa di Bassano del Grappa.
Ieri è atterrato ad Haiti un Falcon dell’aeronautica, che ha sbarcato sull’isola una squadra avanzata giunta da Roma. Nelle prossime ore atterrerà un velivolo di trasporto C130 decollato da Pisa con un ospedale da campo mobile. Della squadra fa parte un funzionario dell’Unità di crisi. Con un diplomatico giunto via terra dalla nostra ambasciata a Santo Domingo, armati di telefoni satellitari «hanno cominciato a battere a tappeto l’isola alla ricerca dei connazionali», spiega Fabrizio Romano, responsabile dell’Unità di crisi. La prima tappa è stato l’albergo Montana, nella capitale. È stato raso al suolo e ci sono vittime. Si sospettava che sotto le macerie ci fossero ospiti italiani, ma ieri sera non era giunta alcuna conferma.

Alla squadra avanzata da una mano la ditta di costruzioni italiana Ghella, che ha fornito i veicoli per muoversi. Nel loro cantiere, 50 chilometri a Nord della capitale, i dieci lavoratori italiani sono tutti incolumi.
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