Hu Jintao sbarca in America ma vede Bill Gates prima di Bush

Il presidente cinese, subito ospite del fondatore della Microsoft, si incontrerà con il leader Usa soltanto il terzo giorno della sua missione per parlare di Iran, esportazioni e diritti umani

Alberto Pasolini Zanelli

da Washington

Washington, un grande banchetto di benvenuto al presidente cinese Hu Jintao. Ma in un’altra Washington e da parte di un altro presidente. Hu Jintao ha infatti iniziato la sua visita negli Stati Uniti da Seattle, nello Stato di Washington sul Pacifico, ed è stato accolto con un banchetto pantagruelico e uno sfoggio di lusso e di cordialità da Bill Gates, presidente della Microsoft. La Casa Bianca e l’altro presidente, George Bush, li vedrà nel terzo giorno del suo periplo americano.
Di solito i «vertici» non cominciano così; ma questo non è un summit come gli altri. Lo sottolineano mille sfumature e innovazioni, anche di protocollo: non è ben chiaro, per cominciare, se si tratta di una visita di Stato oppure no. La Cina così desiderava, gli Stati Uniti hanno detto di no e l’ospite dovrà «accontentarsi», domani, di un benvenuto sul prato della Casa Bianca di ventuno colpi di cannone; sfumatura rispettata, non avvertibile da un miliardo e 300 milioni di cinesi che si guarderanno lo show in tv, senza troppo distinguere fra il saluto alle bandiere e il pranzo di gala nella casa da cento milioni di dollari dell’uomo più ricco del mondo. Dopo una visita alla Boeing, che produce fra l’altro molti fra i più micidiali aerei militari Usa, e prima di una conferenza sulla pace all’Università di Yale.
Quanto «cordiale» sarà il vertice vero e proprio? Di questi tempi l’argomento numero uno per i sinologi di Washington è, in misura ossessionante, il deficit della bilancia di pagamenti americana causato in gran parte dal boom delle esportazioni cinesi. Bush vorrebbe in qualche modo rallentarlo, se possibile mediante una svalutazione dello yuan. Ma è difficile che la controparte vi si adegui nella misura desiderata, e cioè del 40 per cento. È più facile che Pechino sia disposta a comprare di più in America, e lo farà, guarda caso, cominciando da 80 aerei Boeing. Se non basterà è perché il made in China non consiste più soltanto di magliette e altri prodotti a basso prezzo, ma investe anche l’alta tecnologia, mettendo in allarme il mondo finanziario Usa. Ma il vero dissidio economico riguarda le fonti energetiche: la «esplosione» industriale cinese va nutrita con importi massicci di petrolio e gas naturale, una richiesta che fa salire alle stelle i prezzi e riscalda la competizione per le fonti: l’America cerca di mantenere il settore sotto controllo, la Cina si rivolge sempre di più agli Stati che gli Usa non controllano, dalla Russia al Venezuela all’Iran.
Oggetto, quest’ultimo, di un confronto apertamente politico-militare, con Bush che reitera le minacce di intervento (addirittura con armi nucleari) e intanto chiede all’Onu sanzioni severe che possano giustificare, se disattese, l’azione bellica e Pechino che vi si oppone e forse non avrà neppure bisogno di far uso del diritto di veto in Consiglio di sicurezza perché il suo no pare condiviso non solo dalla Russia, ma da diversi Paesi occidentali e del Terzo mondo. È l’insieme di questi fattori a giustificare la definizione che Bush ha dato in passato della Cina: «Rivale strategico».
Arrivati in queste acque difficili, i colloqui troveranno invece una bonaccia proprio su un tema che fino a qualche anno fa costituiva il principale contenzioso: Taiwan. Pechino non ha rinunciato a riportare l’isola sotto il proprio controllo, ma non dimostra di aver fretta e anche a Taipei i toni si sono ultimamente smorzati. Sarà affrontato con una certa cautela anche l’argomento che dovrebbe essere fondamentale, la natura del regime cinese e l’accento che intende mettervi Hu Jintao: «liberale» in economia, «restrittivo» politicamente, secondo la formula, mai definita così, di «capitalismo comunista». Con risvolti nel campo dei diritti umani.

Un dettaglio: di solito prima di ogni vertice con l’America, il regime di Pechino libera un paio di dissidenti, in un gesto di buona volontà. Questa volta niente. Anzi, si appresta a riaprire un processo per spionaggio contro uno scienziato, Zhao Yan, che finora era stato risparmiato.

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