Corsa di carri di cinghiali lasciati rotolare da monte Testaccio, con gli animali, vivi o morti, poi oggetto di contesa tra gli spettatori. E la maschera da norcino, un «classico» nei travestimenti romani tra Cinquecento e Seicento. Sono solo alcune delle tradizioni del carnevale capitolino legate a carne di suino e salumi. Non cè da stupirsi: questa passione gastronomica, infatti, affonda le sue radici - testimoniate dal ritrovamento in alcuni siti archeologici di ossa di suini senza arti posteriori, lavorati e esportati - nel mondo degli Etruschi e dellantica Roma. Una tradizione golosa giunta fino a oggi. «Il consumo di salumi nella Capitale è forte - dice Domenico Paris, responsabile romano dellIvsi, lIstituto valorizzazione salumi italiani -. Quello medio pro capite nazionale è di 19 chili, a Roma sono 20. Il più apprezzato è il prosciutto, crudo e cotto quasi pari merito con quattro chili pro capite, seguito da mortadella, würstel, salame, pancetta e guanciale e capocollo. Una vera passione i romani lhanno per la bresaola, con 900 grammi pro capite rispetto a una media nazionale di 300 grammi».
Malgrado la tradizione, le molte aziende, la varietà di prodotti e lampio consumo, tra i salumi dop il Lazio vanta solo salamini italiani alla cacciatora. Negli igp, mortadella Bologna. «La valorizzazione dei salumi laziali è stata carente - prosegue Paris - forse per unerrata visione di nicchia dei prodotti tutelati. Ma non è troppo tardi. I consumatori romani, peraltro, sono attenti e cercano la qualità». Le proposte non mancano. Lelenco dei prodotti tradizionali, riconosciuti dalla Regione Lazio, è ampio: lonza, coppa reatina e viterbese, corallina romana, guanciale, anche amatriciano e dei Monti Lepini, lardo di Leonessa, San Nicola e stagionato al maiale nero, lombetto della Sabina e dei Monti della Laga. E ancora, mortadella romana, viterbese, di Accumoli, Amatrice, di cavallo e di manzetta maremmana. Pancetta, pure al maiale nero, e vari tipi di salsicce. Più varianti di porchetta, da Ariccia a Viterbo e Poggio Bustone. Per arrivare ai prosciutti - amatriciano, cotto al vino di Cori, dei Monti Lepini, di Bassiano, di Guardino, di montagna della Tuscia - e ai salami cotto della Tuscia e paesano. Senza dimenticare la susianella viterbese - ottenuta dalla trasformazione di cuore, fegato, pancetta, guanciale, rifilature magre - e Zauzicchie e salam funnan di Fondi, molto speziati. Una vera e propria «geografia» di sapori.
E non è vero che i salumi facciano male. Sono ricchi di proteine, ferro zinco, calcio, magnesio e vitamine del gruppo B. Mangiati con moderazione non ingrassano, non fanno male al fegato, non fanno venire brufoli, sono consigliabili agli anziani: a sfatare alcuni dei luoghi comuni su questi alimenti è il salumificio Cesare Fiorucci (viale Fiorucci 11; Santa Palomba; 06911931) che suggerisce pure i metodi di conservazione. «I pericoli maggiori - spiegano - sono alterazione microbiologica, ossidazione o irrancidimento, perdita di vitamine per esposizione alla luce. Il salume integro, insaccato o prosciutto stagionato, in genere non ha questi problemi nel medio-lungo termine ma, quando è affettato, il taglio può essere esposto a tali pericoli. La conservazione deve avvenire in ambiente refrigerato e buio con il taglio possibilmente coperto».
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