Politica

I tarli del bipolarismo

C’è qualcosa di sinistro nell'ipocrisia politica di questi giorni. Una generale debolezza e un'assoluta mancanza di rispetto della verità. E mentre la sinistra, nella esagerazione dei toni, nella minaccia di ostruzionismo totale, ha comprensibili ragioni per mostrare una straordinaria affezione al maggioritario, nonostante le inconciliabili posizioni dei suoi componenti (dichiarate e gravide di minacce), da Mastella a Bertinotti, la destra dei Fini e dei Pera ripropone con rabbia la sua fede nel bipolarismo che rappresenta la più grave iattura e falsificazione della realtà dell'Italia repubblicana. Grazie ai partiti democratici, alla Democrazia cristiana, in particolare, l'Italia, nel dopoguerra, è cresciuta ed è diventata un Paese moderno. La degenerazione del sistema e la corruzione politica hanno portato a tangentopoli e, di lì, come per un rimedio salvifico, al maggioritario. Non era così, e l'asserita stabilità dei governi, tanto cara anche a Berlusconi, non ha migliorato né l'economia né la vita degli italiani. Eppure da Ciampi a Segni, da Prodi a Fini, il maggioritario sembra una conquista irrinunciabile, perfino un valore morale. Ciampi ammonisce a non tornare indietro, Prodi parla di «democrazia in gioco» con enfatiche dichiarazioni del genere: «Questi signori della destra hanno perso il diritto di chiamarsi casa delle libertà»; Segni denuncia la proposta di un ritorno al proporzionale come una «legge canaglia dell'Italia partitocratica». Perfino Federico Geremicca, dimenticando le storture dei candidati paracadutati nei collegi, parla di «famigerato voto di preferenza», come se preferire un candidato all'altro fosse una colpa.
Ma l'iperbole, al limite del comico, si deve a Fassino che parla di «truffa irricevibile». Vuol forse farci credere che ce n'è una «ricevibile»? In realtà nella proposta del centrodestra non c'è nulla di «irricevibile», trattandosi del tentativo di sostituire ad alleanze di comodo idealità e principi distinti. Per l'Unione è irricevibile rischiare di perdere, dopo aver faticosamente ricomposto tutte le anime della sgangherata coalizione. Ma non si vede perché chi prende il cinque o il dieci per cento non possa reclamare un numero di seggi proporzionato alla sua vittoria. In realtà, quello che non si vuole ammettere è che è proprio il sistema bipolare a non funzionare, ad aver fallito. Eppure, comunque vada, la sua fine è stata decretata dallo stesso Berlusconi dodici anni dopo il celebre pronunciamento a favore di Fini nel ballottaggio per il sindaco del comune di Roma, che gli meritò la denominazione di «cavaliere nero». Ma ecco ora Berlusconi, benché si sia scontrato direttamente con lui nel 2001, fare avances a Rutelli perché abbandoni l'Unione. Mai richiesta fu più «irricevibile». Eppure Berlusconi, nella posizione della Margherita, iniziava a vedere, a partire dalle indicazioni di astensione ai referendum, una concordanza e una affinità che andavano oltre i due poli. Di qui l'apparentemente innaturale richiesta di stare insieme.
Questa vera e propria svolta in senso proporzionalistico, variando il tipo di alleanze fra «simili» (ma che si fronteggiano come se fossero i peggiori nemici), è definitivamente riaffermata con la proposta della nuova legge elettorale. Finisce un’epoca e, in un modo o nell'altro, se non ora, subito dopo le elezioni, il bipolarismo, scoprendo le sue radicali insufficienze, si avvia a scomparire. Ma il colpo di coda non viene, come appare comprensibile, dalle diverse aree dell'Unione, ormai, predisposte al successo, con l'attuale sistema elettorale, ma da Fini e Pera che, pur preoccupati della sconfitta, continuano a non riconoscere l'impraticabilità del bipolarismo. Ma si faccia una riflessione. Visto che nessuno obbliga nessuna delle componenti a una fedeltà alle posizioni assunte (vedi il ribaltone della Lega), altrimenti non si spiegherebbero gli appelli a Rutelli e i corteggiamenti a Mastella, basterebbe che, dopo tante minacce di andare da soli e tante maledizioni dei loro alleati, i cosiddetti cristiano-democratici, ovvero i democristiani di sempre, decidessero, con perfetto rispetto del bipolarismo (lo stesso che impone di cercare anche l'appoggio di Alessandra Mussolini), di stringere un accordo con il centrosinistra, smarcandosi dalla Casa delle libertà. Con questo semplice spostamento si otterrebbe un duplice risultato: l'immancabile e schiacciante affermazione del centrosinistra e l'auspicato potenziamento della componente centrista estensibile a dismisura (nessuno potrebbe a quel punto giudicare sconveniente il trasferimento dalla stessa parte della componente democristiana di Forza Italia). Con questa semplice mossa, sempre nella disponibilità dell'Udc, il bipolarismo sarebbe, di fatto, destinato a saltare. E allora perché ostinarsi nella vana difesa di un sistema incoerente e contraddittorio? Perché, come vorrebbe Fini, con il vincolo di coalizione, pretendere la fedeltà dagli indisponibili a darla? Perché, tenere insieme parti eterogenee e distanti? Fatico a capirlo, mentre vedo questo ridicolo balletto sul baratro e sulle ceneri della verità e della democrazia.

Una forza maligna vuole che non si riconoscano le differenze, ma che stiano insieme quelli che non hanno nulla da dirsi, per paura di restituire a ognuno la sua identità.

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