I vecchi autobus italiani ora corrono in Ghana

Sulle fiancate si leggono le pubblicità di qualche anno fa

Giuseppe Fumagalli

da Accra (Ghana)

Un italiano che oggi capitasse in Ghana, sulle strade della capitale Accra o su quelle dei capoluoghi regionali di Kumasi, Tamalè o Takoradi, potrebbe provare una sensazione familiare. Nelle ore di punta e sui tratti di maggior traffico, noterebbe un andirivieni di autobus, tutti color arancio, proprio come quelli in servizio nelle nostre città. Poi se li osservasse con più attenzione si renderebbe conto di sbagliare. Quegli autobus non sono come i nostri. Quegli autobus sono i nostri. Da vicino si riconoscono ancora le placche in ottone con le sigle delle municipalizzate di Bergamo, Milano, Como, Treviso, Venezia, Genova e Tigullio. Sulle fiancate, pannelli sempre più sbiaditi continuano a pubblicizzare yogurt nostrani, villette a schiera in Riviera, settimane bianche all’Aprica o improbabili liquidazioni di giacche in montone, pellicce e maglie di cachemere. All’interno, inossidabili, resistono le tavole metalliche con i quattro comandamenti del trasporto pubblico. Non fumare. Non parlare al conducente. Non desiderare la sedia d’altri. Annulla il biglietto nell’apposita obliteratrice, più il suo minaccioso complemento: «Per irregolarità nei documenti di viaggio ammenda di L. 10.000». L’obliteratrice non c’è più. L’hanno sostituita bigliettai che viaggiano mezzo fuori mezzo dentro, in bilico sulla predella della porta davanti. Mentre il giava (da driver, autista) fa avanzare l’autobus in una bolgia di auto e pedoni, moto e bici, carri e camion di tutte le dimensioni, più cani, caprette e galline perennemente in cerca di cibo, loro tengono gli occhi puntati sui lati della strada. Il biglietto si paga in cedis, una delle poche valute al mondo con valore unitario inferiore alla vecchia lira, sono 2mila a testa. Poco più di 15 centesimi di euro e molto meno di un passaggio in taxi, dove si viaggia stipati come sardine con altri cinque passeggeri più il conducente per una tariffa che varia da 3 a 4mila cedis. Il 12 giugno, quando il Ghana sfiderà l’Italia ai mondiali di calcio in Germania, qualcuno penserà a questo incrocio di autobus. Sono 400 e sono arrivati a partire dal 2002, a scaglioni di dieci, venti alla volta, imbarcati a Genova in pancia alle navi rosse della Messina e scaricati due settimane dopo sulle banchine del porto di Tema. Quando per la prima volta sono scesi sulle strade della capitale il Daily Telegraph li ha sparati in prima pagina col titolo Big relief for Accra residents (Grande sollievo per la popolazione di Accra). Profetico. A tre anni dall’entrata in servizio, considerando solo la capitale, i bus gialli effettuano ogni giorno circa 2mila corse e trasportano 100mila passeggeri. Tra autisti, bigliettai, personale di officina, amministrazione e direzione danno lavoro a 800 persone. L’operazione ancora non è conclusa, ma il presidente del Ghana Kufour l’ha già indicata come un intelligente modello di cooperazione. Sul passaggio degli autobus dall’Italia all’Africa nera non ci sono bandiere e nemmeno l’egida di organizzazioni internazionali, enti, partiti o fondazioni. Tutto è nato dall’idea di Marcello Moro, 36 anni di Bergamo, commercialista di professione, con una marcata vocazione per l’esperienza politica e amministrativa: «L’applicazione di nuovi regolamenti di tutela ambientale aveva messo fuori legge gli autobus delle aziende municipalizzate. Anche se una parte della flotta era costituita da macchine recenti non c’era scelta. Belli o brutti, gli autobus dovevano essere tolti dalla circolazione, demoliti e sostituiti con mezzi nuovi, in linea con le nuove normative europee. In sostanza si buttava via un ben di Dio. E come non bastasse c’erano da pagare tutti i costi di radiazione amministrativa e distruzione fisica. Circa 2.500 euro per ogni autobus. Mi sembrava una vera assurdità».
Accompagnato da un gruppo di ghanesi impiegati in aziende bergamasche, Moro nel 1999 aveva fatto un viaggio ad Accra dove era entrato in contatto con alcuni esponenti della vita politica locale. Ha subito pensato a loro. Ma raggiungerli non era più così facile. «Nel 2000 in Ghana c’erano state le elezioni», racconta Moro, «e a vincerle erano stati proprio gli stessi che avevo conosciuto due anni prima».
Quando il governo di Accra ha messo a disposizione i fondi per pagare il trasporto via nave (circa 2.500 euro a bus), l’operazione è partita. Moro, aiutato da Gianni Rasera responsabile di I Care nel Veneto, ha battuto a tappeto tutte le regioni del Nord. Il governo di Accra ha risposto con la costituzione della società di trasporto pubblico Metro Mass Transit. Dall’Italia sono arrivati anche sei container di pezzi di ricambio, lubrificanti e attrezzature da officina, finché sulla rotta Milano-Accra hanno cominciato a muoversi anche gli uomini. «Sono decine i carrozzieri, meccanici ed elettrauto scesi dall’Italia in Ghana per tenere corsi al personale della Mmt. E sono altrettanti i diplomati e i laureati ghanesi che sono venuti nelle nostre aziende di trasporto per prepararsi alla gestione manageriale delle flotte di autobus».

In coda si sono aggiunte anche le corriere autostradali azzurre e accanto alla società di trasporto urbano Mmt è nata anche la State Transit Company, che opera sulle tratte interurbane. Nel 2008 le due società sperano di avere mille automezzi.

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