Antonio G. Calafati è un esemplare di una specie sempre più rara in Italia: quella dei pensatori liberi. Ma non è un Grillo Parlante bensì un docente della Facoltà di Economia «Giorgio Fuà» dellUniversità politecnica delle Marche, ed è così poco italiano da insegnare una materia - Economia urbana - solitamente snobbata nelle nostre facoltà.
Errore fatale, perché questa è la scienza che consente di progettare lo sviluppo economico delle città e dunque, in società sempre più urbane, anche la qualità del nostro futuro. LUnione europea lo ha capito e ha sviluppato orientamenti che hanno consentito a città in declino come Manchester e Liverpool di rifiorire e a quelle consolidate come Lione o Monaco di continuare a prosperare. E LItalia? Calafati ha appena pubblicato un saggio - Economia in cerca di città. La questione urbana in Italia (Donzelli editore) - nel quale dimostra gli errori colossali commessi dal nostro Paese.
Cosa rimprovera allItalia?
«Di non avere, di fatto, più città, ma sistemi urbani che sono mosaici di realtà amministrative e politiche ingestibili. Mi spiego: Monaco è una città che si è ingrandita di 20 volte, ma man mano che si sviluppava, la sua giurisdizione si ampliava. Come molte altre città tedesche, Monaco ha via via integrato i piccoli comuni circostanti, ridefinendo la propria identità politica e dunque progettando lo sviluppo economico e sociale in modo organico. Anche da noi le città di fatto sono cresciute a dismisura, ma i confini sono rimasti quelli originari».
A quali città si riferisce?
«A tutte, Milano, Bologna, Napoli, Torino, ma anche a quelle di medie dimensioni come Ancona e Prato, e tante altre. Prendiamo Milano. Ha una popolazione di 1,3 milioni di abitanti, in realtà ciò che nei fatti si intende dicendo Milano è un sistema molto più grande che copre uno spazio economico che include Rho, Cernusco sul Naviglio, Arcore, eccetera. Più di quaranta comuni. Come fa un Comune piccolo come Milano, a governare un territorio così grande?».
Lo chiedo io a lei...
«Semplice: non ce la può fare, perché non ne ha la competenza, né ha strumenti per imporre forme di cooperazione strategica. In tutti questi anni è sorto un problema enorme che nessuno ha voluto vedere: la scissione tra la città di fatto e la città amministrativa. Oggi lo sviluppo di una città come Milano è condizionato dai piccoli comuni che la circondano, dove lo spirito e gli orizzonti non sono quelli della grande metropoli. Con un potere di veto enorme, che di fatto rende ardua e lenta qualunque decisione su scala intercomunale».
Dunque cosa bisogna fare?
«Restituire alla città il potere di espandersi, incorporando il territorio che con essa si è integrato, e di decidere. Comè logico e giusto. Oggi non si lavora più nello stesso posto dove si vive. La mobilità è fondamentale, i problemi sono comuni. Si lavora in centro a Torino o a Bologna, ma si dorme a dieci chilometri di distanza, in un altro comune. I confini amministrativi non corrispondono più ai confini cittadini dei movimenti quotidiani degli individui. Le città maggiori dovrebbero essere messe nelle condizioni di decidere una nuova politica di trasporti e di agire subito, senza dover trattare con decine di amministrazioni locali».
E perché questo non avviene?
«Perché non abbiamo sviluppato una mentalità moderna e perché le resistenze sono enormi. Chi ha il coraggio di cancellare 30 amministrazioni comunali? Nessuno e allora quelle posizioni di rendita ingiustificate prevalgono sullinteresse della collettività. Invece dovremmo renderci conto che la scala territoriale delle decisioni pubbliche è fondamentale. E che il mancato adeguamento delle città ha un costo enorme».
Lei sostiene che questa è una causa di declino economico per tutta lItalia. Perché?
«Perché le città sono diventate il motore delleconomia europea. Una città funzionale favorisce lo sviluppo di idee, progetti, nuove iniziative, consente economie di scala, riduce i costi sociali della mobilità, favorisce una migliore qualità della vita».
Cè chi dice: aboliamo le Province...
«Lunica riforma urgente è restituire senso alle città, permettendo loro di incorporare i comuni limitrofi con esse integrati. Dunque: il comune centrale si espande e rende superflua la provincia oppure la provincia diventa il nuovo livello di governo e si sostituisce ai comuni».
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