Ido, l’uomo del Dragun così racconta il mare

Nicola Simonelli

Cosa mai si potrebbe aggiungere al contenuto di questo libro suggestivo: «L’uomo e il Dragun, una storia camogliese; Silvio Ferrari», presentato con veste tipografica piacevole dall’Editore De Ferrari, se non che delle reminiscenze personali di poca importanza sul protagonista? Tra l’altro descritto con minuzia, per mezzo di conversazioni sobrie fatte dall’autore a Ido Battistone, quando era ancora, per fortuna, in vita? Penso, proprio, nulla. Il testo in questione, si presenta completo. Vi è incluso ogni cosa. Vita, ambiente, esperienze, percorsi. Soddisfa. Però, come tralasciare di rammentare alcuni ricordi?
Per Ido (l’uomo del Dragun) ero sempre stato l’amico che arrivava a Camogli da Genova. Ed era già la sintesi del suo modo di essere. Non che fossi «foresto», ma pur sempre rimanevo uno che arrivava da fuori. Per inserirsi ci sarebbe voluto un periodo lungo. Quasi un tirocinio... che non sarebbe terminato. E a me, simile comportamento, non ha mai dispiaciuto. Quando avevamo le nostre identità, si usava così, pure da noi. Inoltre Camogli guardava da levante verso ponente assomigliava vagamente alla spiaggia di Cornigliano. Ciò favoririva. Ma, restava la differenza che sul molo di Camogli sorgeva la chiesa dell’Assunta; Cornigliano sulla scogliera aveva, invece, il Castello dei conti Raggio. Ed è stato proprio Ido a dirmi che i vecchi raccontavano con apprezzamento che i corniglianesi erano degli abili pescatori e che affrontavano il mare con dei gozzi fatti con la prua alla «saracena», cioè rovesciata.
Ido Battistone rappresentava Camogli in tutto. Anzi, di questa cittadina rivierasca, ne raffigurava l’immagine fisica e spirituale... Ogni qual volta che si parla dei liguri e della loro storia, non tarda a sorgermi nella memoria la sua figura austera, che colloco subito con la fantasia (a lui non sarebbe di certo dispiaciuto) in tempi lontani. E dove lo vedo ad esortare, per difenderci e per dare battaglia, contro chi avrebbe voluto razziare i nostri litorali, fare scempio con crudeltà della nostra terra, delle nostre tradizioni...
Anche la sua imbarcazione (U Dragun), costruita da lui con ingegno, rimane un esempio - a parere mio - di caparbietà ligure. In quei suoi percorsi marini vi era un messaggio di pace? Presumo, proprio di sì!
Ma, nel medesimo tempo, riesco a cogliere anche una volontà nascosta e forse inconscia del suo intimo. Mi sembra di ascoltare dal suo naviglio, nell’approdare in più porti del mondo, un canto. Un inno che scaturisce dal suo animo per far riconoscere nel mondo, affinché si sappia che l’uomo esiste ancora. La sua imbarcazione vuole essere una testimonianza - così capisco - di non arrendevolezza? Chissà? Il merito di Ferrari, l’autore di questo volume, è stato di non avere perso la misura narrativa sul protagonista. Rimanda al lettore. Che, come nel mio caso, è venuto naturale enfatizzare. Per cui non trovo meglio che lasciare, a chi ha fatto questo libro grande nel significato, la conclusione del mio giudizio critico: «...

Della piccola, ma pur sempre importante dinamica umana di una comunità antica, messa a dura prova dall’accelerazione e dall’omologazione impressa alla realtà di tutto il nostro mondo dall’ultimo mezzo secolo...» ha potuto - aggiungo - sviluppare la sua dinamica intelligenza Ido, l’uomo del Dragun.

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