Desaparecidos in nome della legge. La Cina supera se stessa: far sparire i dissidenti per mesi senza informare alcuno della loro sorte diventerà presto non solo un’inquietante pratica di comune attuazione com’è già adesso, ma avrà anche il crisma della legalità. Stiamo sempre parlando, si capisce, della legalità vigente in un Paese dove - nel nome della rivoluzione proletaria - ogni abuso è concesso ad autorità che nessuno ha mai liberamente eletto. Di un Paese in cui l’opposizione al governo comunista non è ammessa e dove ieri il Partito ha chiesto e subito ottenuto dal principale portale internet locale - Sina Corporation - che due blogger che «diffondevano false voci» fossero «sospesi». E dove è scontato che gli emendamenti al codice penale che consentiranno di legalizzare la scomparsa dei dissidenti diventeranno legge in men che non si dica.
Il testo all’esame del governo di Pechino - denuncia l’associazione per i diritti umani Dui Hua, che ha sede a Hong Kong - autorizzerebbe la polizia a detenere in un luogo segreto per sei mesi, senza avvertire le famiglie, i sospetti di reati che riguardano la sicurezza nazionale, il terrorismo e la corruzione. Sotto la prima voce ricadono attività come la richiesta di democrazia politica o sindacale, o la pura e semplice libertà di espressione, che il potere assoluto interpreta come sovversiva.
Qualsiasi tipo di protesta esercitata anche in forma virtuale potrà dunque presto essere repressa con tale durezza da far sembrare poca cosa quella attuata dalle polizie di altri Paesi che siamo abituati a sentir definire «regimi». In Cina siamo infatti a un solo passo dal raggiungere l’efferatezza del decreto «Notte e nebbia» in base al quale il regime nazista tedesco, nell’ultima fase del suo potere terroristico nell’Europa occupata, faceva sparire in segreto i suoi oppositori più temuti: quelle persone scomparivano a titolo definitivo, mentre i «nemici del popolo» cinesi - almeno in teoria - dopo sei mesi di «notte e nebbia» dovrebbero riapparire nel mondo dei vivi. Dipende, naturalmente, dal loro grado di notorietà internazionale: un artista dallo spirito libero come Ai Weiwei, famoso in tutto il mondo, è sparito quest’anno per «soli» tre mesi per essere rimesso in libertà nel giugno scorso, ma molti altri meno conosciuti attivisti della dissidenza in Cina vanno (e soprattutto andranno) incontro a destini ben più terribili nel quasi generale disinteresse.
Certamente non è bello stilare classifiche dei regimi in base alla loro brutalità o disprezzo dei diritti umani. Ma è altrettanto certamente vero che con questa innovazione che trasforma lo Stato a partito unico in sequestratore legalizzato dei suoi oppositori, la Cina fa molto per ricordarci che è sulla strada per diventare un modello da manuale del dispotismo moderno. Non bastavano i campi di rieducazione attraverso il lavoro («laogai»), ora si rapisce la gente «in nome della legge»: al confronto i generali sudamericani, che facevano sparire i loro oppositori a migliaia ma di nascosto, impallidiscono.
Vale poi la pena di fare qualche raffronto: l’argentino Videla ormai ultraottantenne è finito sotto processo, il serbo Milosevic è morto in galera, il tunisino Ben Ali è scappato di notte all’estero, l’egiziano Mubarak, detto il Faraone, entra ed esce dai tribunali del suo Paese a 83 anni suonati, l’iracheno Saddam Hussein è finito impiccato.
Ma i gerarchi rossi cinesi, carcerieri del loro popolo, chi li tocca? Forti della ricchezza e della potenza militare che si son procurati sfruttando cinicamente il lavoro di centinaia di milioni di schiavi senza diritti, vengono ricevuti nel mondo sui tappeti rossi. Vien da piangere a pensare che nel nostro beato Paese c’è chi blatera ogni giorno di «regime»: il nostro, naturalmente, mica quello di Pechino.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.