Le «quote latte» rischiano di diventare il terreno di scontro finale, quello in cui si capirà definitivamente se l'Italia è ancora uno Stato sovrano o un territorio occupato dall'Unione europea, un potere disperatamente teso a prelevare quanto più denaro possibile dalle tasche dei risparmiatori distruggendone al contempo ogni capacità di produzione e concorrenza. L'ultimo monito è arrivato ieri: si impone alle autorità Italiane di «recuperare» dagli allevatori la bazzecola di 1.395 milioni di sanzioni non riscosse per supposte violazioni alle regole europee che obbligavano i nostri produttori di limitare la quantità di latte per non infastidire gli allevatori d'oltralpe. Si tratta di una sorta di «ultimo avviso», poi si promettono procedure più invasive. Sicuramente ci sarà qualcuno, ormai pienamente nella parte dell'asservito agli eurovoleri, che dirà che è giusto, che chi sbaglia deve pagare. Ci sono tuttavia alcune questioni che mettono il problema in termini del tutto opposti. Prima questione: i limiti che vengono imposti a noi sono sacri e inviolabili, quelli imposti a Germania e Francia sono suggerimenti che se per ipotesi dovessero dare fastidio vengono cambiati al volo. È stato così per la violazione di soglie ben più «sacre» rispetto alla mungitura delle mucche quali il famoso limite di Maastricht per il rapporto debito/Pil, sforato da Germania e Francia sin dai primi anni dell'euro e mai più rispettato. Seconda questione: gli allevatori italiani verrebbero sanzionati per «aver prodotto» qualcosa quando tutti gli inutili vertici europei sono fintamente convocati per risolvere il nodo della crescita, della disoccupazione e del lavoro. Terza questione: l'Italia è un forte importatore di latte. I dati del 2013 parlano di oltre 2100 tonnellate di latte sfuso e confezionato importati. Per fare i compiti a casa dovremmo forse importare di più per ridurre la disoccupazione in Germania? Quarta questione: perché ci sono le quote latte e non le quote automobili o le quote elettrodomestici o qualsiasi altro prodotto? Una delle cause della crisi è stata l'enorme surplus commerciale della Germania che in barba al divieto di eccessivo squilibrio nella bilancia commerciale invade l'Europa con i suoi prodotti. Perché quindi le sanzioni devono andare ad un paese che fino ad oggi è sempre stato in deficit a tutto vantaggio dei paesi esportatori? Quando fa comodo c'è il libero mercato e la concorrenza, quando non fa comodo ci sono le quote? Già questi argomenti dovrebbero essere sufficienti per rimandare gli emissari Ue da dove sono venuti, tuttavia c'è ben altro: pare infatti che questi sforamenti tali per cui si viene sanzionati proprio non esistano e lo ha stabilito non il sindacato degli allevatori ma un tribunale nel corso di un regolare processo. Con sentenza del novembre 2013 (gip Giulia Proto) si è accertato che il numero di mesi di vita media di un bovino era stato erroneamente messo nell'algoritmo per calcolare le quote a 999. Tale errore può comportare la sovrastima del parco mucche italiane di circa 300mila capi pari a circa il 20% dell'intera produzione. Quindi senza questo grossolano errore la produzione Italiana sarebbe risultata perfettamente regolare.
Se la nostra giurisdizione vuol dimostrare di esistere allora che richieda all'Unione europea di dimostrare che una mucca può vivere in media 999 mesi (82 anni), altrimenti, in difetto di mucche Matusalemme, che si respinga al mittente l'intimazione, magari con qualche forma di risarcimento per il tempo fatto perdere a quei pochi ancora in grado di fare il loro lavoro, soprattutto in un Nord Italia dove le imprese stanno morendo ogni giorno come le vittime di un'epidemia letale. Vedremo che pugni batterà sul tavolo Ue quello stesso Pd che ha votato a favore dell'importazione delle arance dal Marocco. Loro possono.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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