La Liberazione, un'occasione perduta

Perché il 25 aprile non è ancora una festa condivisa, si chiedeva ieri senza rispondersi La Repubblica? Provo ad accennare una risposta nel segno della concordia

Perché il 25 aprile non è ancora una festa condivisa, si chiedeva ieri senza rispondersi La Repubblica? Provo ad accennare una risposta nel segno della concordia. In primo luogo chiamatela per quel che fu, Guerra civile, cioè un fratricidio tra italiani, all'interno di una guerra di liberazione e di un conflitto mondiale.

Alla definizione di guerra civile deve corrispondere da un verso il rispetto di chi militò in buona fede dalla parte sbagliata, pagando di persona, e dall'altro una ricerca storica priva di omertà, divieti e demonizzazioni del revisionismo. E invece scattano subito quattro esorcismi per squalificare la ricerca della verità: 1) i crimini compiuti dai partigiani furono colpa del nemico infiltrato; 2) le vittime non erano innocenti; 3) in questo modo si fa il gioco della reazione; 4) quella storia era risaputa, l'avevamo già detto noi.

Nelle polemiche sul libro di Luzzatto dedicato a Primo Levi si sono ripresentate tutte, a firma De Luna, Lerner, Novelli e altri. Ma in tono soft perché Luzzatto è uno dei loro; più feroci furono con Pansa, non parliamo poi con gli storici dei vinti, trucidati ad honorem e gettati nel nulla. Eppure era quello il modo per rendere condivisa una Festa che mai lo fu.

Sarebbe stato onesto e convincente dire: sì, molti partigiani fecero crimini orrendi e infamie, ma nel complesso, la Resistenza riscattò l'Italia e l'amor patrio agli occhi di molti refrattari e legittimò libertà e democrazia. Salvo pochi irriducibili ai due estremi, sarebbe diventata una festa condivisa.

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