RomaLa crisi si è portata via 75.500 imprese artigiane nel quinquennio 2009-2013. Di queste 12mila operavano nel ricco Triveneto. È l'analisi effettuata dalla Cgia di Mestre elaborando i dati sulla «nati-mortalità» delle aziende in base alle iscrizioni alle Camere di commercio.
L'imperturbabile ottimismo del premier Matteo Renzi si scontra con una realtà drammatica. Se, infatti, si guardano i dati del primo trimestre 2014 forniti da Unioncamere si nota che il trend decrescente è ancora in corso. Nel periodo gennaio- marzo di quest'anno sono mancate all'appello rispetto al primo trimestre 2013 ben 24.490 aziende delle quali 16.650 erano artigiane. «Cambiare verso» in questo campo non sarà semplice come giocare una partita a calcetto o come twittare aforismi.
«La drastica riduzione dei consumi delle famiglie, il forte aumento delle tasse e del peso della burocrazia, la restrizione del credito hanno costretto moltissimi artigiani a gettare la spugna», ha spiegato il segretario generale della Cgia di Mestre, Giuseppe Bortolussi.
Fattori critici che hanno creato un mix esplosivo: dal quarto trimestre 2011 l'Italia è in recessione, il Pil decresce, i consumi stagnano e quindi la produzione cala determinando la chiusura delle aziende e la perdita dei posti di lavoro. Al tempo stesso, la pressione fiscale - per onorare i diktat europei - è salita l'anno scorso al valore monstre del 44,3% destabilizzando così l'imprenditorialità già messa a dura prova dalla mancanza di credito. La recessione ha provocato una diminuzione dei prestiti bancari (scesi da tempo sotto la soglia dei 1.500 miliardi di euro) e ha costretto gli istituti a stringere i cordoni della borsa con le piccole imprese che spesso sono le più in difficoltà nella restituzione. Il 14% degli impieghi destinati a queste aziende è, infatti, classificato come sofferenza.
Questo stato di cose ha penalizzato i settori produttivi più deboli e a maggiore intensità di lavoro, cioè l'artigianato e in particolare - riferisce la Cgia - le costruzioni, i trasporti e il manifatturiero (metalmeccanica, tessile, abbigliamento e calzature). Nelle aree del Paese che su questo tipo di modello produttivo hanno fondato la loro economia il contraccolpo è stato più duro. Nel Veneto, tra il 2009 e il 2013, si sono registrate 9.800 imprese artigiane in meno. Di queste, 2.187 operavano in provincia di Treviso, 1.949 a Verona, 1.848 a Vicenza e 1.836 a Venezia. La contrazione occupazionale dell'artigianato veneto nel quinquennio, secondo gli artigiani mestrini, dovrebbe essersi attestata a circa 28mila unità.
«Non potendo contare su nessun ammortizzatore sociale, dopo la chiusura dell'attività moltissimi artigiani non hanno trovato nessun altro impiego e sono andati ad ingrossare il numero dei senza lavoro, portandosi appresso i debiti accumulati in questi anni e un futuro tutto da inventare», ha chiosato mestamente Bortolussi.
D'altronde, in un Paese nel quale la disoccupazione ha raggiunto il livello record del 13% a febbraio scorso le opportunità per rimettersi in gioco sono poche.
Queste evidenze, però, interpellano le ultime scelte effettuate dal governo Renzi.
Forse compiere il percorso inverso e favorire la nascita di nuove imprese alleggerendo il peso delle tasse non sarebbe stata una cattiva idea.
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